
I controsensi di fronte ai quali lo sport e il calcio in particolare ci mettono di fronte sono molti. Più che lo strano epilogo della Europa League, l’episodio che oggi ha attirato la nostra attenzione è quello del giovane Alejandro Macias, il quale, a soli 5 anni, di fronte al litigio dell’arbitro della partita che stava giocando e l’allenatore della squadra avversaria ha deciso di dividerli, suscitando l’ammirazione di tutta la Spagna (paese dove è avvenuto il fatto) e in queste ore di tutto il mondo. Il bambino avrebbe detto testualmente ai due litiganti: “basta! Voglio continuare a giocare!”. L’episodio ha trovato ancora maggiore visibilità, oltre che per la sua assurdità, per il fatto che uno dei papà che assisteva alla partita in tribuna ha colto questo episodio con una fotografia chiarissima.
In un periodo come quello che stiamo vivendo, dove si parla molto di razzismo negli stadi, con il caso di Balotelli e Boateng prima di lui, sulle prime pagine dei giornali a far dividere l’opinione pubblica, ma anche episodi come quello del tifoso del Torino indagato per tentato omicidio durante i tafferugli del derby con la Juve, quella di Alejandro è una foce fuori dal coro.
Andiamo! E’ solo calcio!
Possibile che gente muoia nei disordini causati dagli ultras e che si facciano dei “buu” a un ragazzo come qualsiasi altro (con i suoi pregi e i suoi difetti) che sta semplicemente giocando solo per il colore della pelle? Forse la domanda sembra banale, ma tornare alla vera natura del calcio, il gioco del pallone, ogni tanto non può che fare bene. Al di là di quale sia l’atto di eccessiva pressione che si fa, è bene ricordarsi di cosa si sta parlando. E se mentre si vedono allenatori e giocatori menare le mani, per protestare sulle decisioni arbitrali, quando ci sono in ballo milioni di euro forse una certa dose di giustificazioni si può
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concedere per qualcuno, abbiamo altrettanti casi pietosi nelle partite dilettantistiche o delle serie minori, fino ad arrivare alle scuole calcio come quella di Alejandro a farci indignare.
Finchè Alejandro ha 5 anni e mette il gioco davanti agli interessi o alle rivalità negative, lui interpreta il “football” come lo facevano coloro che lo hanno inventato in Inghilterra 150 anni fa, ma non appena ne compirà 10 o 15 è forse destinato a diventare vittima o parte di tutte quelle pressioni e di odi che hanno formato una sorta di sovrastruttura sul calcio, è accettabile? Io stesso ho giocato a calcio per moltissimi anni e ho potuto riscontrare spesso sui campetti di periferia le stesse antipatie che pervadono il calcio d’elite sia tra giocatori che tra spettatori.
Ben vengano dunque le sane rivalità agonistiche vissute sul campo a suon di grinta, rendono questo gioco degno di essere giocato, ma venga ancora meglio una generazione a cui il calcio venga proposto senza odi nocivi e quanto di negativo ci ha impregnati nell’ultimo mezzo secolo. Tutto ciò dipende da noi.
Andiamo! E’ solo calcio!
Diretto, immediato, non populista. Da condividere!
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