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venerdì 31 maggio 2013

Conformismo e tendenze giovanili

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[caption id="attachment_298" align="alignright" width="227"]images Spongebob in versione Emo[/caption]

Il freaky day di questa settimana è dedicato nientepopodimeno che al conformismo e alle mode che spopolano tra i giovinastri in questi anni. Devo dire che ho accettato immediatamente la tematica poiché se esiste una persona che col conformismo non ha nulla a che fare, quello è proprio il nostro direttore Martin Morton. Tanti sarebbero gli aneddoti per esemplificarlo: dai tempi dell’infanzia, quando andava al mare con la giacca a vento e i mooon boot, a quando verso i quindicianni in pieno periodo punk decise di diventare paninaro (anni prima che lo fosse tutto il resto dell’Italia) e infine oggi, quando al posto di premiare uno di noi quando scrive un buon articolo pensa bene di farlo portare nel vicolo dietro la redazione dai suoi scagnozzi per “mettere in chiaro chi è che comanda”. Ecco, forse di alcune di queste cose faremmo benissimo a meno, tuttavia Mr. Morton rimane un’ottimo esempio di anticonformismo come avrete capito.

Il conformismo non è affatto un tema nuovo nelle redazioni come la nostra, ma anche nelle università e persino a scuola. Da anni ci si è resi perfettamente conto che questo fenomeno, con lo svilupparsi dei media di massa, ha avuto sempre più seguito nelle sue varie sfaccettature. C’è da dire immediatamente che il conformismo va distinto dalla conformità in quanto mentre la seconda sta a significare in modo generale l'adattarsi a qualcuno o a qualcosa, l'avere forma o aspetto uguale, simile, il primo indica invece un supino adeguamento al modo di vedere prevalente e, in genere, diverso dal proprio. È chiaro dunque come il conformismo appaia un fenomeno che si presta maggiormente a critiche di quanto non faccia la conformità.

Si diceva che il conformismo e i media di massa vanno di pari passo, questo è chiarissimo: avremmo visto migliaia di giovani pochi anni fa conciarsi da Emo e definirsi tali senza tv e soprattutto internet? Certamente no, poiché pur spacciandosi essi per “alternativi” rispetto al sistema, traevano il loro look e le loro idee da altri ragazzi che prima di loro avevano deciso di adottare questo stile. Questo passaggio, a mio parere, non è affatto da trascurare: persino chi vuole uscire dagli schemi in cui vede rinchiusa la maggior parte della popolazione si rifugia in altri piccoli conformismi all’interno del gruppo che supporta la sua “alternatività”.

Ciò accade perché l’uomo, in fin dei conti, ha bisogno di approvazione, seppure di poche persone. È infatti nella nostra natura cercare il consenso degli altri, che noi lo vogliamo o meno. Nel momento in cui stiamo in famiglia e siamo supportati dai parenti nelle nostre scelte, siamo in qualche modo gratificati. Se al contrario decidessimo di lasciare il nucleo familiare, perché siamo in disaccordo con loro, la nuova solitudine ci spingerà a cercare negli amici un certo supporto: l’importante sarà non essere soli con noi stessi. Dal punto di vista della psicologia tutto ciò è spiegato in modo molto più approfondito in questo sito per i più interessati http://www.conformismo.it/public/home.php.Nei social network il conformismo e la ricerca di supporto o consenso arriva, probabilmente,  ai livelli più alti. Tutte le immagini, i link e i video che vengono condivisi dagli utenti possono ricevere immediatamente una approvazione tramite il tasto “mi piace” ed essere in seguito commentati. Nonostante sia un fenomeno che difficilmente ammetteremo, il motivo reale per cui creiamo un profilo e vi pubblichiamo le nostre vite, che sia Facebook , twitter o altro non importa, è probabilmente proprio la ricerca del consenso da parte degli altri utenti, oltre che ovviamente la possibilità di rimanerci in contatto e, in qualche modo, “spiarne” la vita. Questo fatto raggiunge livelli imbarazzanti nel momento in cui si diffonde l’abitudine, da parte di utenti maschi sui 16, di pubblicare stati del genere indirizzati al sesso opposto:” se metti mi piace ti dico quanto sei bella da 1 a 10” oppure “A 20 “mi piace” faccio la classifica delle 10 più belle”. Lungi da me voler commentare nel particolare atteggiamenti così degradanti, mi limito a dire che in pochi secondi i 20 “mi piace” arrivano e le varie classifiche di bellezza vengono stilate, con obbligatorio ringraziamento da parte delle ragazze chiamate in causa. È accettabile che il nostro bisogno di approvazione sia tale da portare delle ragazzine ad umiliarsi a tal punto pur di essere giudicate? Considerando che possono comunque essere classificate con voti mediocri, risultando doppiamente mortificate mi sembra un paradosso di un certo livello.

L’opinione degli altri è alla base della nostra felicità, c’è poco da ribattere su questo: da soli o giudicati negativamente da tutti siamo perduti. Senza voler estremizzare, posso tranquillamente citare il caso di cronaca recente della ragazzina suicidatasi in seguito alla pubblicazione su facebook del video in cui dei ragazzi si approfittavano di lei ubriaca. oltre a confermarci la tendanza al vanto e alla “cavalleria” (è un eufemismo) dei ragazzi sui social network, questo episodio mostra come la protagonista, di fronte alla comunità dei coetanei del web e del suo paese schieratasi contro di lei, non abbia più ritenuto la propria vita degna di essere vissuta.

Prima del web e dei media in genere, qualcuno potrebbe pensare, le mode  e il conformismo non esistevano, o per lo meno non come oggi. In realtà tutto ciò c’è, in qualche modo, sempre stato. Leggendo gli scritti risalenti agli Egizi, i romani, il medioevo e anche il più recente diciannovesimo secolo, è chiaro che vi sono sempre stati degli usi e dei modi di fare diffusi tra i vari strati sociali, tipici della propria epoca. La barba appuntita dei nobili egiziani, quella lunga dei senatori romani, gli abiti sfarzosi e pittoreschi dei Unknownsovrani medievali e i basettoni nell’800 e chi più ne ha più ne metta, l’uomo in ogni epoca fa ciò che può per omologarsi e conformarsi in nuovi modi. Certo, una differenza tra oggi e allora, come si diceva all’inizio dell’artiolo,  c’è: le mode durano molto meno e si susseguono molto più velocemente. Spesso siamo anche di fronte a più tendenze in contemporanea, avendo così più possibilità di scelta seppure limitata. L’anticonformismo si rivela essere proprio questo in ultima analisi nel 2013: il distinguersi dalla maggioranza per conformarsi alla minoranza.

Forse siamo destinati a seguire più o meno delle mode e non ci distingueremo mai del tutto dagli altri e in questo in fondo non c’è niente di male: l’alternativa alla conformazione (anche alla più piccola) sembra essere l’infelicità e la mancata realizzazione completa di noi all’interno della società. Tuttavia nel momento in cui si va contro le nostre naturali inclinazioni, specialmente sul piano ideologico, rischiamo di cadere nel conformismo e di spingerci ai livelli di degrado morale a cui purtroppo ho fatto riferimento sopra. Per quanto possa andare a intaccare il nostro vestiario, le nostre acconciature e i nostri consumi, la moda non sembra capace di invadere anche le nostre capacità di ragionamento fino in fondo: per quanto posa essere criticabile, per esempio, il voto degli italiani alle ultime elezioni e stato spartito tra molte parti politiche diverse: se non è un segno (per quanto parziale) di anticonformismo questo…

 

 

 

 

mercoledì 29 maggio 2013

Cannes 2013, tra vincitori e vinti

Forse avevate pensato che qui al Freaky times non c'eravamo accorti che la scorsa è stata la grande settimana del festival di Cannes ma la gente che al cinema ci tiene, come noi del resto, difficilmete se ne scorda ed eccoci qui a commentare vinti e vincitori del concorso più elegante nel campo, che ogni anno, oltre a promuovere cineasti affermati e lanciare nuovi talenti, si propone una raffinata ricerca di avanguardia cinematografica volta ogni anno al rinnovamento di quest'arte. locLa sezione del festival "Un certain regard" (Un certo sguardo) premia infatti opere di minore, spesso pari a zero, popolarità ma con una concentrata quantità di raffinatezza. In questa sezione il premio per il miglior film è stato assegnato al cambogiano Rithy Pann, "L'imagine manquante" una meditazione sospesa tra cinema e storia dei drammi della popolazione, che lascia l'amaro in bocca a "Miele" della nostra Valeria Golino, consolata da una menzione speciale della giuria. Il 66^ festival di Cannes si è tenuto dal 15 al 26 maggio, aperto come già ricordato, dall'anteprima de "Il Grande Gatsby", presentato fuori concorso, e anche quest'anno ci ha messo di fronte ad intriganti lavori che già attendiamo di vedere nelle sale. Non poteva essere altrimenti visto che solo negli ultimi dieci anni se andiamo a legger i titoli dei film vincitori ci scorre sotto gli occhi una lista che rappresenta il meglio del cinema di questo nuvo millennio; il noto "Il Pianista" di Roman Polanski o il toccante "Elephant" di Gus Van Sant passando per "The tree of life" di Terence Mallick con u cast di eccezione e al fortunato "Amour" di Michael Haneke dell'anno scorso, un emozionante melodramma focalizzato sul rapporto tra l'amore e la vecchiaia, che ha ricevuto anche 5 nomination all'oscar.

[caption id="attachment_289" align="alignright" width="284"]Un egocentrico Spielberg, presidente di giuria Un egocentrico Spielberg, presidente di giuria[/caption]

Prima di elencare le stelle del festival và detto che c'è poco da recriminare o da ridire sulla giuria di quest'anno, capitanata dal leggendario Spielberg, presidente di giuria affiancato da Ang Lee, che gli ha strappato il premio oscar giusto un paio di mesi fa, Nicole Kidmann e Cristopher Waltz. Quindi diversamente da altri anni questo è un concorso senza troppe polemiche visto che la giuria non ha deluso nessuno assegnando l'ambita Palma d'oro al lungometraggio francese (3h di film) "le vie d'Adelè" di  Abdellatif Kechiche giunto ormai alla ribalta internazionale con "Cous cous" del 2005 - dramma familiare dove un sessantunenne maghrebino cerca una svolta della vita con l'idea di aprirsi un ristorante, film valso anche il Leone d'argento ex-aequo a Venezia - e affermatosi con questo che è il suo quinto film diretto. Il film parla di quella complicata situazione adolescenziale quando una ragazza, in questo caso Adelè, una liceale di quindici anni, si accorge e si spaventa della sua sessualità. Adelè conosce Thomas, un bravo ragazzo con il quale cerca di far sbocciare una storia che possa saziare la sua impareggiabile voglia di vita. Lo stesso giorno che conosce Thomas al quale si concede senza riscaldarsi mai più di tanto conosce per caso una misteriosa ragazza dai capelli blu che riesce invece a farle accendere conturbantemente la passione. Seguendo l'impeto dei suoi sentimenti Adelè si lascia andare ad una storia appassionante che da ragazza la renderà donna matura e sensibile.

[caption id="attachment_290" align="alignleft" width="284"]Le vincitrici, protagoniste di Le vie d'Adele Le vincitrici, protagoniste di Le vie d'Adele[/caption]

Un interessante e singolare romanzo di formazione capace di attirare su di sè i favori di tutti grazie ai momenti di brillante cinema che ha impressionato la giuria. Il grand Prix speciale della giuria, assegnato al film che,a detta di regolamento, mostra più originalità o spirito di ricerca, è andato ai fratelli Cohen per il loro ultimo successo "Inside Llewyin Davis" film ispirato alla vita del cantante in attività negli anni 60 Dave Van Rock, intimo amico di Bob Dylan, che con il suo folk blues conquistava New York. Hanno trovato larghi consensi anche le scelte di premiare Bruce Dern come miglior attore per la sua interpretazione in "Nebraska" di Alex Payne, in un dramma familiare che ha visto un Dern 76enne nei panni di un genitore affetto da demenza senile mentre per il lato femminile la trionfatrice è la bella Berenice Bejo, la simpatica Peppy Miller di "The Artist", il film che surclassò gli avversari la notte degli oscar 2012. Il premio arriva dopo la collaborazione con il regista Asghar Farhadi grazie al suo "Le Passè", il passato, altro dramma in cui la madre protagonista deve far i conti col suo passato, strettamente intrecciato al suo presente sentimentale e che coinvolge anche i suoi figli. Film che ha da subito impressionato critica e pubblico come del resto "A separation", il lavoro del 2011 che ha reso celebre il regista iraniano, approvato dall'orso d'oro a Berlino e dall'oscar come miglior film straniero. La miglior sceneggiatura è sorprendentemente orientale; di Jia Zhangke per il film Tian zhu ding di cui ovviamente non sappiamo nulla, ma è un segno che finalmente i cineasti orientali cominciano ad essere apprezzati per quel reale valore artistico che possiedono ma che spesso gli occidentali hanno snobbato perché classificato diverso. Infine ci tocca raccontare la delusione di Sorrentino che non è riuscito con "La grande bellezza" a portarsi a casa il premio di miglior regia. L'opera è sofisticata, di un estetismo volto all'estremo per raccontare la vita di un sedicente giornalista e uomo di potere non hanno fatto colpo su Spielberg e soci che hanno invece optato per relegare il premio tra le mani del semi-sconosciuto Amat Escalante, regista messicano, che scavalcando a sorpresa l'agguerrita concorrenza è riuscito a far apprezzare il suo stupendo e rozzo "Heli". Con un cinema freddo e diametralmente opposto a quello di Sorrentino Escalante narra la difficile storia della dodicenne Estela, storia ricca di desolazione e tragicità che sembrano inevitabili nella secca città Guanajuato, silenziosa spettatrice del turbinio di violenza e disperazione che si abbatte sulla famiglia della ragazza. Heli infatti, suo fratello, cercherà di impedirle una fuga d'amore con un giovane poliziotto, Berto, al quale sottrae di nascosto anche un carico di cocaina dando il via ad una serie di eventi catastrofici.

[caption id="attachment_291" align="alignright" width="265"]Si affoga nel fumo un delusissimo Sorrentino Dimentica nel fumo la sua delusione Sorrentino[/caption]

Ha convinto la linearità e la semplicità del film, attributi dei quali La grande bellezza era completamente privo, diciamo, per usare un eufemismo, che Sorrentino ha di nuovo sbagliato anno.

martedì 28 maggio 2013

Politically correct: ma che vuol dire?

[banner size="468X60" align="aligncenter"]Oggi, cari i nostri lettori, parliamo di un tema che in qualche modo ci tocca personalmente. Noi del freaky times facciamo del nostro anticonformismo e della nostra ironia pungente un vanto: fin dalla presentazione del blog è stato così. Essere talvolta “politicamente scorretti“, come spesso si usa dire, è per noi un modo come un altro di distinguerci, nella forma e nei punti di vista adottati, dai maggiori quotidiani, blog e telegiornali italiani. Si è fatta molta polemica su ciò che è da considerarsi politicamente corretto e cosa scorretto, non ultima una argomentazione che ha coinvolto il blog “il post” e  il giornale “il foglio” in cui si discuteva sulla sensatezza di suddividere i modi di esprimersi dei vari media e delle varie personalità in queste due categorie. Coloro che criticano il perbenismo a tutti i costi, secondo quanto emerso negli articoli, sembrano essere gli stessi che lo dimostrano non appena si parla di determinate tematiche. Seguendo questo interessante ragionamento mi sorge spontaneo domandarmi: fino a che punto è possibile mantenere un profilo politicamente scorretto?

[caption id="" align="alignleft" width="260"]download (2) L'irriverente Luciana Littizzetto[/caption]

Inizialmente questa classificazione dei comportamenti fu ideata nei college americani di un certo prestigio pare, in cui gli studenti erano sanzionati duramente e definitivamente in caso di sgarro. Tuttavia i termini e le uscite per cui i ragazzi venivano perseguiti non andavano oltre gli insulti raziali o religiosi, oltre che le volgarità in genere. Per quanto tutti questi comportamenti possono essere considerati deplorevoli, e in un certo senso mi trovo d’accordo, la tipologia di politicamente scorretto a cui vogliamo riferirci stasera è la comicità e l’ironia. A mio parere, infatti, fino a quando per politicamente scorretto ci si riferisce a un linguaggio scurrile, esso non lo è a tutti gli effetti. Per far si che una affermazione sia politicamente scorretta il contenuto stesso del discorso deve esserlo nel suo senso. Un esempio non può che chiarire quanto voglio dire. Luciana Littizzetto, irriverente comica che è stata consacrata alla ribalta nazionale per il festival di Sanremo condotto con Fazio, è spesso considerata politicamente scorretta per ciò che dice nei suoi monologhi. Il motivo di questa classificazione tuttavia, riflettendoci,  non è dovuto al contenuto dei suoi interventi, quanto più che altro alla forma: è solita infatti usare espressioni volgari e colorite che la caratterizzano per la sua spontaneità. Il senso delle sue battute è in fin dei conti non del tutto politicamente scorretto poiché dice semplicemente ciò che la gente pensa e condivide e la conferma di questo è il clamoroso successo che ottiene oltre che la simpatia che ispira negli spettatori. Considerando che le battute che ultimamente l’hanno messa al centro dell’attenzione mediale sono state fatte a Sanremo, dove anche il bacio ironicissimo e di Benigni a Pippo Baudo ha fatto scandalizzare i critici per anni e anni , è comunque comprensibile che in tale contesto la Littizzetto sia risultata come unna pecora nera pur divertendo i più. Se di “politically incorrect” si può parlare si tratta di una versione molto soft dello stesso.

[caption id="" align="alignright" width="225"]download I Griffin alle prese con la morte[/caption]

Un tipo di ironia più che mai politicamente scorretta secondo il mio modo di vedere la questione è quella di South park, nota serie di animazione americana, della famiglia Griffin e per restare in patria dello zoo di 105. In questi programmi temi come il razzismo, le divergenze religiose e persino drammi come la malattia e la morte sono messe alla berlina e rese oggetto di ironia. Stando attenti a non premere troppo su tali problematiche, chiaramente mischiando ad altre situazioni comiche, gli autori dei Griffin sono persino riusciti a inserire delle scene con un  Hitler in versione ridicola al loro interno. Lo zoo di 105 addirittura fa degli scherzi telefonici in cui un finto malvivente dell’est europeo (imitato secondo i preconcetti che si hanno su chi viene da quelle parti) telefona a dei negozi di abbigliamento cinesi per chiedere vestiti di bassa qualità con cui far chiedere l’elemosina ai suoi figli, deridendo in questo modo anche i negozianti stranieri. Nonostante tutto ciò che è possibile imputare in indelicatezza, volgarità e pregiudizio a queste trasmissioni, esse fanno ridere, spesso ci fanno ridere, e d'altronde devono fare ridere qualcuno se continuano a essere trasmesse nonostante le critiche che piovono. L’opinione pubblica e la critica non possono che essere divisi su queste realtà. Esse dunque sono politicamente scorrette entro limiti accettabili nei confini dell’irriverenza o sono del tutto scandalose?

Personalmente ho sentito diverse opinioni a riguardo e le ritengo tutte valide. Mi è stato detto che fino a quando l’oggetto dell’ironia rimane la politica o l’ipocrisia della società in genere essa è accettabile, insomma fino a quando si mantengono nei confini della satira (questo è un po più lo stile dei Simpson), ma quando si fanno riferimenti a drammi o al razzismo il discorso cambia senza dubbio. A ciò, per quanto giusto, c’è forse da controbattere che nel momento in cui si trattano i suddetti temi “caldi” nelle serie già citate e si fa ironia intorno ad essi non sono questi ad essere presi in giro, ne tanto meno chi è interessato da essi, quanto la stessa ipocrisia della gente nel rapportarsi con essi. Se viene fatta ironia sulla morte, per esampio, non è realmente fatta sul suo dramma in quanto tale, quanto forse sul comportamento apparentemente rispettoso rispetto ad essa
download (1)in pubblico, che poi tuttavia si trasforma in indifferenza nel privato, per molti. In questo questo tipo di ironia può essere più che giustificato. Per quanto detto sullo zoo di 105 c’è chi ritiene che esso si spinga troppo oltre i limiti del razzismo. Anche a questa critica è possibile tuttavia ribattere nello specifico che esso ha due chiavi di lettura per chi lo ascolta alla radio: chi ha i pregiudizi come quelli perpetrati durante le dirette verso gli stranieri, essi risultano confermati e rendono oggetto di ironia il “diverso”; per quanto riguarda chi non ha pregiudizi di sorta, gli scherzi appariranno come una burla fine a se stessa, ironica nella sua assurdità e surrealità, nonostante non si farebbe mai del razzismo in quel modo.

Personalmente trovo sia per questo che, volenti o nolenti, almeno una volta nella nostra vita abbiamo riso per questo tipo di ironia “al limite” del politicamente scorretto in qualche modo giustificabile. Per lo stesso motivo trovo assai difficile giudicare dove stia questo limite se esso esiste. “La malizia sta negli occhi di chi guarda” ho spesso sentito dire senza crederci più di tanto: forse però una volta tanto mi trovo d’accordo con questo detto, poiché le parole, così come gli sketch ti una serie tv, non hanno sempre un senso in sé stesse, siamo noi a doverglielo dare in relazione al contesto in cui sono inserite e alla nostra personale sensibilità. Dovremmo forse cominciare ad imputare a noi stessi parte del problema? mah…




 

 

venerdì 24 maggio 2013

Seguiteci su twitter!

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Ci scusiamo, ma oggi, a causa di impegni del tutto imprevisti, siamo costretti a saltare l'articolo del venerdì (il freaky day). Sappiamo che per molti è il giorno della settimana più atteso e quindi abbiamo deciso di non lasciarvi a mani vuote: ecco il nostro indirizzo twitter su cui potete seguirci e magari farci sapere cosa ne pensate del Freaky Times! https://twitter.com/freaky_times

Per chi ci volesse direttamente cercare il nostro nick è: freaky_times

download (2)


Buon fine settimana a tutti i "freaky fans"!

giovedì 23 maggio 2013

Che Serie B win!

[caption id="attachment_270" align="alignright" width="283"]Gli esagerati tifosi del Dortmund Gli esagerati tifosi del Dortmund[/caption]

Ed eccoci tornare a disquisire di sport! Non si può non partire dal sottolineare la trepidazione che ci pervade nell'attesa della finale di Champions tutta tedesca, come già ribadito, a Wembley sabato sera. A quanto pare il giovane ma già maturo talento di Mario Gotze non potrà essere della partita a causa di improvvisi problemi muscolari. Tutta sfortuna? Speriamo di si, sarebbe scandaloso pensare che il Bayern, già proprietario del giocatore ancora giallonero, abbia in qualche modo incentivato quest'infortunio. Eclissata da Wembley non dimentichiamo che domenica è la volta della Coppa Italia e dell'attesa finale stracittadina tra Roma e Lazio, un derby che oltre all'onore, al trofeo (sarebbe il decimo per la Roma, il chè vorrebbe dire stella d'argento), regala l'opportunità di partecipare all'Europa League. Papa Francesco ha già benedetto le due squadre, fortunatamente, che si affronteranno alle 18 invece che la sera alle 9 poichè la prefettura di Roma ha brillantemente intuito attraverso ragionamenti che solo loro capiscono, che anticipando il match si sarebbero potuti evitare quelle scene di scontri e guerriglia che caratterizzano la storia del derby della capitale, nonostante solo l'ultima volta, col derby in programma alle 20 e 45, gli scontri sono avvenuti tra le 17 e le 19 e non credo che le due tifoserie domenica prendano impegni troppo seri così da poter liberarsi nel primo pomeriggio se mai ce ne fosse bisogno. Insomma non è un problema di orario, che anticipato rischia anche di far diminuire l'affluenza allo stadio, ma è un problema evidentemente di organizzazione dello spazio e delle autorità.
Ma è anche la settimana in cui è iniziato uno spassoso totò-allenatori come non lo si vedeva da tempo. L'arrivederci di Mazzarri servito al Napoli ha dato il via ad un effetto domino in serie a, una serie a che sembra avere sempre meno certezze, tra le quali un Conte pronto a legarsi alla Juve per renderla una grande d'Europa, e un Montella che prosegue il suo progetto a Firenze. Il resto è molto confuso; Mazzarri libero ha tentato Moratti che ha perso la proverbiale fiducia per Strama, Mourinho che và al Chelsea ha liberato di fatto Benitez che ora piace a De Laurentis, visto che non sarà il più amato o il più spettacolare degli allenatori ma le sue coppe a casa le sà portare eccome. Allegri gioca al gatto e al topo con Berlusconi mentre i rapporti con monsignor Galliani rimangono ottimi, sarà inevitabile una rescissione consensuale con probabile destinazione Roma, sponda giallorossa, affare di cui però non si fa trapelare nulla, probabilmente per non creare distrazioni inutili ad una squadra che ha ancora una finale da disputare. Così una tra le panchine più ambite d'Europa rimane libera; chi sceglierà Berlusconi per il suo Milan? Questa sua fissa per gli ex-milanisti ci porta a fare i soliti nomi di Rijkaard o Van Basten, allenatori che hanno collezionato si una manciata di successi, ma in un epoca calcistica ormai differente da questa. Caldi i nomi di Seedorf e Inzaghi, ricordandoci che Seedorf non solo non ha mai allenato ma è ancora un calciatore in attività al Botafogo e Inzaghi è al suo primo anno di giovanili. Uno che ha sicuramente più esperienza ma con qualità limitate è l'ex commissario tecnico Donadoni, che in carriera non è mai riuscito però a raggiungere risultati soddisfacenti se non qualche salvezza tranquilla. Staremo a vedere.
Ma ciò che più ci importava oggi qui al Freaky times era smetterla di snobbare un campionato mai citato ma che quest'anno è stato forse l'unico a regalare palpitanti emozioni fin all'ultimo. Chi l'ha seguita è facile che abbia già capito che sto parlando della serie Bwin! Campionato dove i mezzi sono quelli che sono, il tasso tecnico è quello che è, gli allenatori - con un mix di giovani ambiziosi e vecchi navigati - sono quelli che sono, ma le emozioni riescono ogni giornata a far provare qualcosa di diverso; è stato uno dei campionati più belli di sempre dove tutto, quasi inaspettatamente è rimasto in bilico fino all'ultimo.

[caption id="attachment_272" align="alignleft" width="275"]Mister Di Francesco, Sassuolo Mister Di Francesco, Sassuolo[/caption]

Sin dall'inizio per le prime tre della classe è stata una marcia trionfale con un Livorno macina vittorie, un Verona che teneva il passo spesso arrancando e un Sassuolo che tra un gioco spettacolare e ragazzi promettenti e talentuosi, su tutti Berardi ora seguito con interesse dalla Juve, ha demolito ogni avversario. Queste le tre corazzate che hanno fatto capire sin da subito che i primi due posti erano affari da discutere tra loro 3, lasciando alle inseguitrici l'arduo compito di non distaccarsi troppo. Fino all'ultimo infatti non era limpido se i play-off si sarebbero disputati o no visto che tra Empoli e Verona, fino a 5 giornate della fine, c'erano più di 10 punti. Empoli titubante all'inizio (relegato addirittura tra le ultime posizioni) ha ritrovato ben presto un identità che ha permesso a mister Sarri di inanellare una straordinaria serie di punti che hanno permesso agli azzurri (e di conseguenza anche a Novara e Brescia) di giocarsi i play-off. Il Novara, altra squadra che ha avuto un campionato stile Empoli, inizio disastroso che ha portato a due esoneri, di Tesser e di Giacomo Gattuso, prima che arrivi Aglietti che sarà capace di traghettare la squadra (che intanto diventa imbattibile) fino ad un impensabile quinto posto. Le ultime giornate sono assurde e travolgenti; il Verona, come è solito per le squadre di Mandorlini, raggiunge il top della forma fisica e mentale (diventando finalmente padrona dei propri mezzi) fine stagione, non lasciando per strada neanchè una briciola e andando a colmare quel divario di 12 punti che si era venuto a creare con il Sassuolo, minandone addirittura il primato.

[caption id="attachment_273" align="alignleft" width="150"]La festa a Verona La festa a Verona[/caption]

Primato che, sofferto, arriva comunque, dopo che per tre volte la festa promozione è stata rimandata, fino all'ultima giornata che il fato ha reso storica. Si affrontavano infatti la prima e la terza (Livorno-Sassuolo), la seconda e la quarta (Verona-Empoli), e la sesta e la settima (Brescia e Varese) per giocarsi a sangue l'ultimo posto disponibile per i play-off. Un prevedibile biscottone rovina lo spettacolo al Bentegodi dove Verona Empoli finisce con un noiosissimo 0-0 che però non ridimensiona la festa che a Verona si aspettava da 11 anni e permettendo all'Empoli di raggiungere l'obiettivo di far giocare i play-off. Invece tra Livorno e Sassuolo è partita vera, con un Livorno che è stato sulla cresta dell'onda per tutta la stagione con una flessione di risultati più che di prestazione ma che in un campionato lungo come questo (il più lungo del mondo, ben 42 giornate in un torneo da 22 squadre) non ti puoi certo permettere.

[caption id="attachment_274" align="alignright" width="290"]Sassuolo campione Sassuolo campione[/caption]

Il Sassuolo invece ha l'ultimo Match point, ne ha sbagliati troppi fin ora e la tifoseria (fortunatamente non tutti) se la prende con la società e con Di Francesco accusandoli di non voler la A per i costi che comporta. Francamente inacettabili alcune lettere giunte alla società da alcun fan-club, dopo un'annata non straordinaria, miracolosa per quelle che erano le aspettative era naturale che la paura di vincere, sintomo di inesperienza a certi livelli (inesperienza di cui eran colmi sia i giocatori che il promettente Di Francesco), minasse le prestazioni della squadra. Alla fine il Sassuolo ha conquistato con le unghie la promozione e il primo posto in classifica, giocando a viso apertissimo la gara con il Livorno imponendo gioco e guadagnandosi l'1-0 finale. In fondo alla classifica invece non si giocheranno i play-out visto che il Vicenza, quartultimo, è arrivato con 6 punti di distacco dal Lanciano -il minimo per far si che i Play-out si disputino sono 5 punti- ed è stato vittima, assieme ad Ascoli, Pro-Vercelli e Grosseto, di una drammatica retrocessione. Aspetteremo la fine dei play-off di lega pro per sapere quali squadre le sostituiranno con Trapani e Avellino già promosse. La serie b si concluderà con la finale play-off (andata 29 maggio, ritorno 2 giugno) mentre i primi verdetti hanno detto che Livorno ed Empoli surclassano rispettivamente Brescia e Novara, nonostante entrambe non vadano oltre l'1-1 esterno. Ebbene speriamo che questo campionato anche l'anno prossimo, il primo in cui non sarà disponibile solo in pay-per-view ma anche su piattaforma satellitare, sia capace di tale spettacolo visto che pare proprio che lo sport ne abbia bisogno.

mercoledì 22 maggio 2013

In Utero, l'addio dei Nirvana (8/10)

[caption id="attachment_257" align="alignleft" width="224"]download (2) la copertina dell'album[/caption]

Oggi torniamo a parlare di buona musica qui sul Freaky Times! Abbiamo il piacere di trattare una band che, nel bene e nel male, ha influenzato milioni di ragazzi in tutto il mondo ormai da ben due generazioni: i Nirvana. La leggendaria band di Seattle, capitanata da quel ragazzo “maledetto” di Kurt Cobain, nel 1993 esce con quello che sarà il loro ultimo album un studio: “In Utero”. La critica attende il nuovo lavoro di Cobain, Novoselic e Grohl con forte trepidazione poiché il loro disco precedente “Nevermind” li ha lanciati al successo planetario e con loro anche tutto il movimento grunge di Seattle. Nonostante le attese e la fortuna anche commerciale ottenuta i tre mantengono un profilo più che basso: rifiutano il successo e l’etichetta di rock star per quello che era diventata nel corso degli anni 70 e 80, rimanendo a vivere nella propria città e svolgendo la solita vita. Kurt Cobain ha appena sposato Kurtney Love, leader delle “Hole”, e nonostante la figlia in arrivo non smette mai veramente di fare uso di droghe pesanti anche a causa di una forte depressione. Il titolo dell’album (In Utero) deriva appunto dalla figlia del cantante (poi chiamata Frances Bean Cobain, ovvero Frances “Fagiolo” Cobain…contenti loro).

[caption id="attachment_258" align="alignright" width="197"]download Kurt Cobain[/caption]

I nirvana, forse anche per reagire alle accuse di commercialità ricevute dopo Nevermind optano per un sound più ruvido, simile a quello del loro primo lavoro “Bleach”. “Serve the servants” parte subito con un arpeggio tra l’arrabbiato e il malinconico, tipico del sound della band, arrivando poi al ritornello più melodico e orecchiabile che sostanzialmente recita è il titolo del brano. Il senso della canzone è tutto nella prima frase: “teenage angst has paid off well, now I’m bored and old” (la rabbia dei giovani ha pagato bene, ora sono vecchio e annoiato). Il secondo pezzo è basato su un riff martellante di chitarra accompagnata dalla ritmica impeccabile di Dave Grohl. Il testo è un tipico “non sense” alla Cobain, ovvero un testo piuttosto privo di significato, dove è possibile solo cogliere qualche riferimento alla figlia di Kurt. Heart Shaped Box è il singolo di punta del disco, anch’esso basato su un arpeggio malinconico e su un testo oltre che un video a dir poco inquietanti. I tre musicisti stanno ai piedi di una croce dove giace un Cristo anziano e rachitico tormentato dai corvi e poi in una tetra sala di ospedale. Dei bambini con un cappello bianco poi macchiato di rosso non fanno altro che appesantire l’inquietudine delle scene precedenti. “Rape me” (violentami) detiene forse il primato nel disco per il testo più negativo. Troviamo elencate tutta una serie di offese che Cobain invita a fargli: dal violentarlo appunto all’odiarlo e sciuparlo, il tutto su un riff di accordi di chitarra di per sé orecchiabile. “Frances Farmer will have her revenge on Seattle” è dedicata all’attrice Frances Farmer appunto, concittadina dei Nirvana e morta negli anni 70. La donna aveva avuto una carriera molto fortunata inizialmente per poi subire un declino causato da una forte patologia psichiatrica: la storia aveva toccato a tal punto Kurt da fargli dare il suo nome alla figlia. “Dumb”(stupido) è un pezzo decisamente più tranquillo, arricchito da un violino in sottofondo. Nel suo testo, uno dei più lucidi di In Utero, si tratta della strana sensazione di benessere e serenità che spesso coglie Cobain al calare del sole: una sorta di “Alla sera” di Ugo Foscolo. Il cantante non è avvezzo tuttavia a questa sensazione e si sente addirittura stupido nel provarla, uno dei segni della sua depressione cronica. “Very Ape” (molto scimmia) risulta un pezzo sarcasticamente ironico. L’esaltazione dell’ignoranza ostentata da alcune persone quasi con orgoglio viene derisa a suon di riff più che mai distorti. Con “Milk it”, che parte con unadownload (3) serie di suoni completamente stonati di chitarra e rumori vari, per poi trasformarsi in un pezzo violento e arrabbiato come pochi, entriamo forse nei brani tipici alla nirvana: strofa più tranquilla e sincopata e ritornello distorto e sbraitato da Cobain al microfono. L’assolo del tutto casuale nelle tonalità rende il pezzo ancora più alienato. “Pennyroyal tea” continua sullo stile Nirvana mostrando un lato leggermente più composto nel ritornello: se non altro possiamo dire che sia cantato (con il classico non sense di Cobain). “Radio Friendly unit shifter” è un pezzo a base di riff di accordi distorti e fischi di amplificatore come pochi se ne sono visti per un risultato tutto tranne “radio friendly” (passabile in radio) appunto. “Tourette’s” fa chiaro riferimento alla sindrome omonima per cui si urlano in modo inconsulto insulti o volgarità: il pezzo è tutto urlato con parole a caso, tanto da non essere nemmeno riportato nel libretto allegato al disco. Considerando che la frase che va ad annunciare il brano è “modered rock” possiamo prenderla come una simpatica burla di Cobain e soci. “All Apologies” (tutte scuse) comincia con un arpeggio insolito per i Nirvana, accompagnato per giunta da degli archi e dalla voce pulita per una volta di Kurt. Il ritornello torna comunque sulle solite distorsioni a cui i tre ragazzi ci hanno abituato.

Forse non tutti lo sanno ma dopo 20 minuti di silenzio che seguono “All Apologies” abbiamo una traccia nascosta o “fantasma” chiamata “Gallons of rubbing alcohol flow through the ship”. Se l’avete appena scoperto dopo anni della sua esistenza non correte ad ascoltarla: il pezzo è veramente senza capo ne coda, decisamente sotto la media dell’album.

[caption id="attachment_259" align="alignright" width="225"]download (1) Dave Grohl[/caption]

Nel complesso abbiamo una Band che reagisce artisticamente in modo ineccepibile al successo arrivato con l’album precedente: la rabbia è la stessa se non maggiore. Kurt Cobain mostra ancora una volta grande ispirazione nella scrittura dei brani (è autore di quasi tutti) mentre Novoselic e Grohl lo seguono come sempre all’unisono. E’ triste pensare che questo sia l’ultimo album di una band che aveva appassionato il mondo intero, il suicidiodi Kurt nel 1994 porrà fine all’avventura dei Nirvana. La fine della loro avventura tuttavia darà origine al loro mito che vive tutt’ora nei cuori di milioni di fan sparsi per il globo e in continua espansione. Dave Grohl dal canto suo si sposterà dalla batteria alla chitarra e alla voce, diventando il leader dei Foo Fighters, una band che negli ultimi 20 anni ci ha accompagnato come poche altre. Quanto al povero Chris Novoselic, lui non ha continuato la carriera musicale per molto dopo lo scioglimento della Band, ha preferito buttarsi in politica sostenendo Barack Obama nella sua corsa alla presidenza: anche lui all’origine di una nuova leggenda in qualche modo!

martedì 21 maggio 2013

Il Grande Gatsby (6,5/10)

Per la rubrica cinema è arrivato il triste giorno in cui la smettiamo di recensire imprudenti commedie e chiudiamo questa parentesi durata un mese rifocalizzando l'attenzione sulle novità arrivate di recente sui grandi schermi. Dal 9 al 16 Maggio 2013 l'Italia celebra la festa nazionale del cinema, iniziativa promossa da associazioni come Agis o Anec e alla quale la maggior parte delle sale cinematografiche ha aderito permettendo ai clienti di andare al cinema acquistando un economico ticket a 3 euro. Lo scorso giovedì è infatti iniziato l'assalto ai cinema e forse anche a questo deve il successo ottenuto per ora uno dei film più attesi dell'anno, l'ultimo lavoro di Baz Luhrmann, "Il grande Gatsby", che dopo il primo week-end al cinema vanta un incasso da quasi 3 milioni di euro in Italia. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, proiettato all'apertura il 15 Maggio 2013, il film è uscito il giorno dopo nelle sale italiane. Un film da cui era lecito aspettarsi molto ma senza rischiare aspettative troppo alte quando si tratta di remake di questo genere.

[caption id="attachment_251" align="alignleft" width="298"]Di Caprio è: Gatsby Di Caprio è: Gatsby[/caption]

La trama è conosciuta, basata sull'omonimo epocale romanzo di Scott Fitzgerald; 1992, si narra del misterioso Jay Gatsby, ricco proprietario dell'enorme villa/castello vicina alla casa di Nick Carraway, giovane agente di borsa, sulla costa settentrionale di long island. Tutte le sere, in questa villa, si consumano sfarzose feste che raccolgono invitati tra gli abitanti dell'intera New York. Nonostante in pochissimi abbiano effettivamente visto da vicino Gatsby e non si sappia nulla di concreto sul suo passato la sua figura suscita grande interesse in chiunque ne parli. Nick viene invitato e partecipa alla festa nella villa di fianco la stessa sera nella quale inaspettatamente incontra J Gatsby che fra le altre cose sembra davvero essere interessato alla sua amicizia. Dopo una graduale, e pur banale, scomparsa dell'alone di mistero che circondava il personaggio di Gatsby si viene a scoprire che è da più di cinque anni teneramente innamorato di Daisy, cugina di Nick ma sposata con Tom, ex giocatore di Polo con il quale il rapporto ha da tempo perso solidità. Lui ha infatti per amante Myrtle, sposata con George, meccanico in un officina, e per concludere persino Nick riesce ad avere una relazione con una certa Jordan, amica di Daisy, cugina di Nick, ormai amico di Gatsby innamorato di Daisy. La giovane bella e impudica Daisy ricambia l'amore di Gatsby ma non passa molto che Tom inizia ad avere sospetti sui due. La coppia di amanti decide quindi di vuotare il sacco con Tom, voltando pagina e ambendo ad una vita felici ed insieme. Più volte però la pressione che grava su Daisy non le permette di trovare il coraggio necessario per accontentare Gatsby, che inizialmente dolce e docile è pian piano diventato impaziente. Un pomeriggio, quando Gatsby, Nick, Jordan, Daisy e Tom si trovano per bere qualcosa Daisy è praticamente spinta a svelare a Tom la realtà del loro rapporto. Proprio pochi minuti prima Tom aveva scoperto che Myrtle, amante alla quale era legato, stava per lasciare la città per volere del marito George, lasciando Tom a bocca asciutta sia da un lato che dall'altro. Vedendosi sul baratro Tom con la sua impostata personalità da nobil uomo riesce a far vacillare le certezze di Daisy prima di passare alla demolizione di Gatsby. Da tempo ci si chiedeva infatti da dove venissero le entrate di Gatsby, la quale storia era fatta solo di aneddoti e mai cose concrete. Lui diceva di essere discendente di Guglielmo di Germania, di aver frequentato Oxford, mentre le ricerche di Tom svelano che Gatsby era figlio di una coppia di contadini del North Dakota, si chiamava James Gatz e scappato di casa ha conosciuto mister Dan Cody, ricco imprenditore che lo accoglie come un figlio. Partecipa alla guerra mondiale e durante un ritiro di addestramento, nel 17, si innamora di una certa Daisy che però, dopo la sua partenza per la guerra, sposa Tom. Il giovane giura di riconquistarla e dopo essersi arricchito con contrabbando e traffici illeciti compra la villa proprio di fronte alla casa estiva di Daisy e Tom. A questo punto la giovane Daisy arranca, perde la fiducia sia in Tom che in Gatsby, con il quale comunque scappa, a folle velocità a bordo della macchina prestatali da Tom. Myrtle intanto, chiusa in casa da George, vede in lontananza avvicinarsi la macchina di Tom e credendo che sia arrivato lì per portarla via si precipita in strada, ma neanche a dirlo, essendo Daisy al volante, viene tirata sotto. Gatsby dice la verità soltanto a Nick, al quale confida comunque di aver fiducia in Daisy e che la aspetterà per poter così, dopo aver lasciato Tom, cominciare la vita nuova. Ma daisy non verrà, e quando Tom svela a George che è stato Gatsby a uccidere Myrtle, il meccanico si reca alla villa del giovane rampante e mentre lui si accinge a tuffarsi in piscina...non posso dire il finale.

[caption id="attachment_253" align="alignright" width="188"]Baz Luhrmann Baz Luhrmann[/caption]

Sicuramente il meglio del film e del tocco artistico di Luhrmann l'abbiamo potuto ammirare nei primi 70 80 minuti, nei quali il mistero, il fascino, l'attrattiva che crea il personaggio di Gatsby riuscirebbe ad incollare allo schermo anche lo spettatore più annoiato. Il tutto condito da quelle scene di maestosa energia festosa sulle quali uno che ha diretto Moulin Rouge, del 2001, non poteva che essere magistrale. Con una singolare e discutibile scelta di sostituire l'ormai banale jazz degli anni venti con un altrettante frizzante r'n'b di contaminazione moderna nelle sequenze musicali Luhrmann riesce a dare per gran parte della pellicola un soddisfacente senso di sensazionalismo. Sensazionalismo sul quale è bravissimo a lavorare Di Caprio, giunto ad un ennesima ottima interpretazione, risultando persino divertente nei panni di Gatsby, cosa che a lui raramente è riuscita. Un giovane spensierato e ambizioso, scosso dall'amore e da esso per sempre perseguitato sembra un perfetto abito da far indossare a Di Caprio. Chiaramente quando il film cade nel banale sul proseguo della storia controversa di Gatsby anche la qualità delle interpretazioni, su tutte naturalmente quella del protagonista, va smarrendosi nel grigiore della trama.

[caption id="attachment_252" align="alignright" width="300"]Gatsby afferra la "luce verde", che proviene dalla villa di Daisy Gatsby afferra la "luce verde", che proviene dalla villa di Daisy[/caption]

Un film fortemente empatico, che riesce appieno a catturare l'attenzione su di sè e che lancia, questo grazie all'aiuto non ininfluente di uno come Fitzgerald, efficacemente spunti di moralità mistica e sociale. Si susseguono uno dopo l'altro i temi della solitudine, del rifiuto, del denaro e delle pubblicità, che hanno sostituito il ruolo e il valore di Dio. Un film che con qualche pecca è riuscito a non deludere grazie alla sapiente regia e al talento davanti alle cineprese.

lunedì 20 maggio 2013

Clientelismo e corruzione in parlamento: "le Iene" svelano una realtà ignobile.

Cari amici del Freaky Times, anche oggi purtroppo siamo costretti a parlarvi di problemi legati alla cattiva politica che fa ormai da padrona nel nostro paese. Ci rammarica molto [banner]dover spesso raccontare storie drammatiche di questo genere ma ciò nonostante più continuiamo a farlo più sembra essere una la verità che ne esce: avvicinandosi al parlamento e al senato, le vere e proprie sedi dove si esercita il potere legislativo, il marciume aumenta in modo esponenziale

. Domenica 19 Maggio il programma televisivo “le Iene” ha trasmesso un servizio incredibile:  grazie alle confessioni di un assistente parlamentare in un’intervista, la trasmissione ha raccontato di come, nelle votazioni che spesso sono meno sottolineate o pubblicizzate dai media, i voti dei parlamentari siano pilotati dalle multinazionali secondo i propri interessi. Tramite compensi mensili di migliaia di euro, per i quali i politici finiscono letteralmente sul loro libro paga, le ditte interessate comprano i voti che servono loro per tutelare i propri business. Stando a sentire le dichiarazioni dell’intervistato i campi dove questa pratica ha trovato maggiore fortuna sarebbero quello medico e farmaceutico, quello dei videogiochi e video poker e infine quello del tabacco. Come potete notare si tratta di ambiti in cui la nostra salute, se non considerata, può risentirne in modo più che serio.

La soffiata, per così dire, delle iene, ha inoltre messo subito in chiaro che sia parlamentari del PD che del PDL sono coinvolti in questo vergognoso clientelismo, non lasciando alcuno spazio a strumentalizzazioni di sorta da parte di giornali o trasmissioni tv di parte. Come se non bastasse l’esistenza di certi tipi di traffici sembra essere una pratica di lunga data, presente forse da sempre nel nostro parlamento, e per giunta risaputa.

In mezzo a tutta questo degrado sociale tuttavia un piccolo spiraglio di luce c’è: l’attuale presidente del senato, aula dove tra l’altro sembra essere maggiormente diffusa la compravendita di voti da parte delle multinazionali, ha presentato appena entrato in carica un disegno di legge anti clientelismo e voto si scambio, Piero Grasso, il quale sarà sottoposto a votazione proprio il 21 Maggio. Ciò non può che fare piacere alla cittadinanza inorridita davanti alle Iene di Domenica sera, ma fa sorgere una domanda più che spontanea: possibile che nessuno sapesse di questi schifosi usi dentro e all’infuori del

[caption id="attachment_247" align="alignleft" width="300"]Piero Grasso Piero Grasso[/caption]

palazzo? Piero Grasso, che va comunque elogiato per la proposta di legge, sembra non essere del tutto all’oscuro dei fatti dal momento che propone di prendere provvedimenti: perché infatti chiedere di votare norme anti corruzione se non si è a conoscenza di casi dove essa si verifica ? L’unico commento che il presidente ha voluto rilasciare è stato un appello per chi sa a denunciare chi vende il proprio voto così come chi lo compra. Lo stesso padre delle Iene, Davide Parenti, ha dichiarato di non credere che nessuno fosse al corrente dei vergognosi fatti, argomentando che come sono riusciti gli autori della loro redazione a venirne a conoscenza, così devono esserci riusciti in molti altri.

[caption id="" align="alignright" width="300"]il servizio delle Iene che ha svelato la corruzione diffusa il servizio delle Iene che ha svelato la corruzione diffusa[/caption]

I guai non vengono mai soli si usa dire e nemmeno in questo caso lo fanno: oltre al clientelismo nel servizio si denunciano anche gli stipendi dei così detti “portaborse” dei parlamentari, di quasi 1000 euro al mese, i quali vengono pagati interamente in nero. Il problema è originato dal fatto che a causa della separazione dei 3 poteri fondamentali (legislativo, esecutivo e giudiziario) all’interno del parlamento le leggi si fanno ma la legge esterna, quella a cui noi comuni cittadini dobbiamo obbedire, non può entrare a controllare ciò che vi accade. Non credo affatto che Montesquieu intendesse un sistema politico del genere quando teorizzava la divisione dei poteri: il suo obiettivo era che essi si controllassero a vicenda, non che finissero per tutelarsi l’un l’altro come quando erano nelle mani di un unico despota assoluto. In altre parole il fatto che il parlamento non esercita il potere giudiziario ed esecutivo dovrebbe essere un motivo in più perché dentro di esso gli altri due fossero fatti rispettare ma nella realtà dei fatti si rivela il contrario. In questo modo i parlamentari non presentano una dichiarazione dei redditi come quella di chiunque altro, formano un paese a sé: essi eseguono un’autodichiarazione in cui hanno la massima libertà di giustificare come vogliono le entrate e le uscite dai loro conti correnti.

Ci stupisce veramente, alla luce di questo, che vi siano casi di appropriazione di soldi destinati ai finanziamenti per i partiti da parte dei parlamentari o che questi vengano scoperti in modo tardivo?

venerdì 17 maggio 2013

Tra il disagio e l'integrazione: la follia è tutti i giorni sulle strade

Per oggi e per il freaky day si è scelto di non sorvolare sull'assurda condizione di arretratezza sociale che il nostro paese si trova ad affrontare. I fatti di cronaca nera continuamente in primo piano provocano paura, addirittura di camminare per strada, e sfiducia nelle istituzioni, rassicuranti solo a parole e poi costantemente impotenti. Tutti i santi giorni un assassinio diverso, un nuovo tipo di suicidio, una scomparsa improvvisa arrivano come una pioggia d'oro per le testate giornalistiche. Ma di quanto spazio mediatico, razionalmente eccessivo, sia dedicato alla cronaca nera ne abbiamo già disgraziatamente parlato è tempo di capire come sia possibile che tanta follia sia arrivata a insediarsi nelle menti degli uomini in Italia. Si perchè alcune azioni sono semplicemente folli, genericamente ricondotte a difficili situazioni economiche o familiari, troppo poco per giustificare. Ricordate Giovanni Vantaggiato, colpevole di essere il maniaco 68enne che, ormai un anno fa, dal giorno alla notte decise di piazzare una bomba (che a detta sua si era costruito da solo smontando e riassemblando fuochi d'artificio) davanti a una scuola elementare di Brindisi, nella cui esplosione rimase uccisa una ragazzina e ferite altre 5 studentesse. "Un colpo di testa, che ci volete fare?" Rispose così l'annoiato imprenditore pugliese alle domande dei pm, rimasti insoddisfatti dell'interrogatorio visto che pareva di esser di fronte ad uno psicopatico nonostante la perizia psichiatrica non lo dimostrasse. Il movente del suo colpo di testa non è mai venuto alla luce, Vantaggiato farfugliava soltanto che ce l'aveva col mondo intero, la sua condizione economica era disastrosa ecc...appigli.

[caption id="attachment_230" align="alignleft" width="284"]L'ormai noto volto di Luigi Preiti L'ormai noto volto di Luigi Preiti[/caption]

Poi c'è il genio che voleva fare una strage di politici con l'attentato a palazzo Chigi, nella quale un carabiniere è rimasto ucciso. Voleva compiere un gesto eclatante per poi togliersi la vita e chissà restare immortale nel cuore degli italiani, effettivamente da quanto lo aspettavamo il liberatore? colui che una volta per sempre si fosse sbarazzato dei politici! Certa gente guarda semplicemente troppa televisione. Anche lui, calabrese residente ad Alessandria 49enne disoccupato, è arrivato alla decisione estrema per via della situazione familiare ed economica. Il fatto che però ha maggiormente sbigottito e dal quale nasce lo spunto per l'articolo è quello successo un paio di mattine fa a Milano, quartiere Niguarda, quando un giovane ghanese, Mada Kabobo 29enne, in preda ad allucinazioni provocate probabilmente da alcol, del quale ammette di fare uso, o droga ha preso a sprangate e poi a picconate i passanti, uccidendone tre, togliendoli la vita insensatamente, in un attimo. Ora, il mondo è pieno di etilisti o tossici ma una cosa del genere è inconcepibile, difficile giustificarlo dicendo che ha agito perchè alterato, o perchè impazzito, o per la difficile situazione di vita. Il medico Luigi Gigli, deputato per scelta civica, lo classifica come gesto di ordinaria follia in un intervista radio. Ordinaria? Non banalizziamo, che esistano i pazzi violenti è innegabile, ma la violenza ha quasi sempre un fondo di senso, la violenza sensata sarebbe ordinaria follia, comunque inaccettabile, non certo questo.

[caption id="attachment_231" align="alignright" width="300"]Una strada di Niguarda dopo il passaggio di Kabobo Una strada di Niguarda dopo il passaggio di Kabobo[/caption]

Allora ecco che riparte la millenaria questione razzista, un ghanese extracomunitario, con svariati precedenti penali quali spaccio, rapina, disordini pubblici, com'è possibile che ne sia stato rimandato a casa ne sia stato rinchiuso dietro le sbarre? Le volpi che lavorano in politica hanno sin da subito cercato di strumentalizzare l'accaduto, facendo tornare in primo piano temi come quelli dell'immigrazione, della sicurezza e soprattutto dell'integrazione. La mancanza di quest'ultima nella vita di Kabobo infatti è l'unica spiegazione possibile al gesto.
Non solo africani, culturalmente lontanissimi dagli italiani, ma anche gli immigrati dell'est, rumeni, albanesi, moldavi arrivano tutti i giorni in Italia alla ricerca della felicità, del guadagno e del benessere, o semplicisticamente di una vita migliore. Cosa succede ad un individuo quando viene catapultato in una società completamente nuova, dove le norme sociali, non solo le leggi, sono diverse? Spesso i giovani immigrati proseguono la loro vita, alla ricerca della propria realizzazione come se queste regole non esistessero, ma non seguendo le regole la realizzazione si allontana sempre di più. Si viene a creare un abissale contrasto tra la struttura sociale nella quale l'individuo è immerso e quella culturale che definiva le mete da raggiungere e i mezzi per conseguirle, mete che a causa della scarsa capacità di conformismo degli stranieri non verranno mai raggiunte. Insomma terra terra, l'Italia inavvertitamente promette la luna agli immigrati, li illude che esista il paradiso, li accoglie e poi li abbandona. Diventa poi facile e quasi inevitabile prevedere le reazioni di tali individui, figli di una subcultura tendente al criminale. Alcuni rifiutano i mezzi proposti ma non rinunciano alle proprie mete, ed ecco che nascono i ladri e gli imbroglioni, c'è poi chi si ribella rifiutando tutto e tutti e proponendosi nuovi obbiettivi e nuovi mezzi per raggiungerli diventa un emarginato, un folle e infine chi sceglie molto cautamente di rinunciare a tutto, non tornando indietro ma abbandonandosi ad alcol o droga, cercando di godersela in attesa del giorno del giudizio.

[caption id="attachment_232" align="alignleft" width="240"]Paura e speranza Paura e speranza[/caption]

Rimane comunque disgustoso che nel 2013 in un paese avanzato come il nostro, in un mondo invaso dalla globalizzazione, si sia ancora qui a discutere sulla difficile situazione dell'integrazione, è bene specificare che certi discorsi non sono applicabili esclusivamente agli stranieri ma a qualsiasi individuo criminale, calabrese, aostano o ghanese che sia. Gli stranieri sono obbligati a vivere due diversi tipi di disagio sociale (quello che affrontano nel loro paese natio e quello con cui devono fare i conti una volta arrivati nell'agognata Italia) mentre la follia che pervade le menti dei psicopatici nostrani è figlia di un disagio creato e alimentato da noi, dai nostri cittadini, dal nostro governo, dalla nostra economia ed è poi questo disagio che forma il paradiso sul quale gli immigrati vengono a sbattere la testa; è facile puntare il dito sul negro piuttosto che sul rumeno di merda ma la realtà è che se avessimo un paese migliore avremmo probabilmente degli immigrati migliori.

giovedì 16 maggio 2013

Il calcio e le sue contraddizioni di fine stagione

In questi giorni di pioggia torrenziale poco primaverile e di finale di stagione calcistica  tutto appare rovesciato. Mentre l’estate continua a essere lontana, vediamo susseguirsi sui campi, particolarmente delle coppe europee, risultati del tutto sorprendenti e impensabili fino a Settembre scorso. Proprio ieri sera il Chelsea, che ricordiamo l’anno scorso ha vinto la Champions League dopo anni al vertice, ha trionfato anche in Europa League sul Benfica. Nonostante il gioco espresso dai portoghesi fosse molto più brillante (o per lo
downloadmeno fosse un gioco ben definito) alla fine hanno contato i singoli del Chelsea, che essendo in alcuni casi gli stessi delle ultime stagioni vissute ai vertici europei, sono certamente determinanti. La stranezza di questa vittoria è figlia anche del fatto che le big del calcio targato vecchio continente solitamente tendono a snobbare l’Europa che “non conta” ovvero la vecchia coppa uefa una volta usciti ai gironi di Champions (i blues erano arrivati dietro Juve e Shaktar). Per una volta si è verificato ciò che potenzialmente può avvenire ogni anno, quando almeno un top team viene inserito a Gennaio nel tabellone di Europa League: esso ha vinto la competizione col minimo sforzo. In realtà stando ai risultati delle gare di sforzo se n’è visto sicuramente, ma per una formazione che solo l’anno scorso eliminava il Barcellona di quel Messi da record può considerarsi tale? La verità sembra essere che questa squadra, già zeppa di campioni esperti, abbia avuto difficoltà nel trovare una sua identità quest’anno (complice anche la partenza di Drogba e i cambi di allenatore) e che appena abbia ritrovato un minimo di coerenza nel gioco  (proprio un minimo) e di condizione (su tutti di Torres) sia giunta senza problemi alla fine dell’Europa League. Quanto al Benfica, tipica squadra da Europa League, ha ben poco da recriminarsi se non le imprecisioni sotto porta: il resto l’ha fatto l’ennesima notte magica di Ivanovich, difensore goleador delle coppe.

I controsensi di fronte ai quali lo sport e il calcio in particolare ci mettono di fronte sono molti. Più che lo strano epilogo della Europa League, l’episodio che oggi ha attirato la nostra attenzione è quello del giovane Alejandro Macias, il quale, a soli 5 anni, di fronte al litigio dell’arbitro della partita che stava giocando e l’allenatore della squadra avversaria ha deciso di dividerli, suscitando l’ammirazione di tutta la Spagna (paese dove è avvenuto il fatto) e in queste ore di tutto il mondo. Il bambino avrebbe detto testualmente ai due litiganti: “basta! Voglio continuare a giocare!”. L’episodio ha trovato ancora maggiore visibilità, oltre che per la sua assurdità, per il fatto che uno dei papà che assisteva alla partita in tribuna ha colto questo episodio con una fotografia chiarissima.


 In un periodo come quello che stiamo vivendo, dove si parla molto di razzismo negli stadi, con il caso di Balotelli e Boateng prima di lui, sulle prime pagine dei giornali a far dividere l’opinione pubblica, ma anche episodi come quello del tifoso del Torino indagato per tentato omicidio durante i tafferugli del derby con la Juve, quella di Alejandro è una foce fuori dal coro.



Andiamo! E’ solo calcio!


Possibile che gente muoia nei disordini causati dagli ultras e che si facciano dei “buu” a un ragazzo come qualsiasi altro (con i suoi pregi e i suoi difetti) che sta semplicemente giocando solo per il colore della pelle? Forse la domanda sembra banale, ma tornare alla vera natura del calcio, il gioco del pallone, ogni tanto non può che fare bene. Al di là di quale sia l’atto di eccessiva pressione che si fa, è bene ricordarsi di cosa si sta parlando. E se mentre si vedono allenatori e giocatori menare le mani, per protestare sulle decisioni arbitrali, quando ci sono in ballo milioni di euro forse una certa dose di giustificazioni si può

[caption id="attachment_226" align="alignleft" width="275"]il piccolo Alejandro intento a dividere i due litiganti il piccolo Alejandro intento a dividere i due litiganti[/caption]

concedere per qualcuno, abbiamo altrettanti casi pietosi nelle partite dilettantistiche o delle serie minori, fino ad arrivare alle scuole calcio come quella di Alejandro a farci indignare.

Finchè Alejandro ha 5 anni e mette il gioco davanti agli interessi o alle rivalità negative, lui interpreta il “football” come lo facevano coloro che lo hanno inventato in Inghilterra 150 anni fa, ma non appena ne compirà 10 o 15 è forse destinato a diventare vittima o parte di tutte quelle pressioni e di odi che hanno formato una sorta di sovrastruttura sul calcio, è accettabile? Io stesso ho giocato a calcio per moltissimi anni e ho potuto riscontrare spesso sui campetti di periferia le stesse antipatie che pervadono il calcio d’elite sia tra giocatori che tra spettatori.

Ben vengano dunque le sane rivalità agonistiche vissute sul campo a suon di grinta, rendono questo gioco degno di essere giocato, ma venga ancora meglio una generazione a cui il calcio venga proposto senza odi nocivi e quanto di negativo ci ha impregnati nell’ultimo mezzo secolo. Tutto ciò dipende da noi.

Andiamo! E’ solo calcio!

mercoledì 15 maggio 2013

Quel pomeriggio di un giorno da cani! (8/10)

Per la rubrica cinema continuano le recensioni di commedie dalle singolari sfaccettature, e sicuramente singolare è il film preso oggi in considerazione. Un film formato da un evidente contaminazione di generi che è subito entrato nel cuore del pubblico e che ha lasciato la critica più che soddisfatta. Dog day afternoon (Quel pomeriggio di un giorno da cani) è ormai un cult, diretto dall'eclettico Sidney Lumet, epocale regista statunitense scomparso proprio 2 anni fa giunto all'apice per aver dato vita a lavori come Serpico nel 73, Assassinio sull'oriente express del 74 tratto dall'omonimo romanzo di Agatha Christie, e sopratutto "Quinto potere" del 76, feroce parodia del mondo dei mass-media. Per una volta la trama in cui ci andiamo a tuffare è semplice e lineare visto che l'intera vicenda si svolge nell'arco di sole 14 ore, dall'inizio della rapina alla conclusione.

[caption id="attachment_218" align="alignright" width="140"]John Wojtowicz mentre mediava con la polizia (1972) John Wojtowicz mentre mediava con la polizia (1972)[/caption]

La storia è tratta da un fatto di cronaca realmente accaduto a Brooklyn nel 1972, quando John Wojtowicz decise di rapinare la banca della 450 Avenue, tentativo poi scoperto e sventato, dopo appunto 14 lunghissime ore, dalla polizia di New York i collaborazione con l'FBI.
Importante sapere che il misfatto successe circa una anno dopo la tragedia avvenuta nel carcere di Attica quando la polizia per reprimere una rivolta dei detenuti fece una strage di sangue dalla quale uscirono più di 40 vittime e 200 feriti. Il protagonista, sul quale il film si incentra, sarà abile a sfruttare a suo vantaggio la difficile situazione mediatica che si era venuta a creare attorno alle autorità costituite, viste dai cittadini come violente e repressive.
Il film inizia sottolineando l'inettitudine con la quale un gruppo di delinquentelli rischiano il colpo della vita. Già prima dell'inizio della rapina uno dei tre membri della gang, sfinito dalla pressione, rinuncia al colpo abbandonando garbatamente i due soci che ormai avevano sfoderato i mitra. Nonostante John non sembra fatto per una rapina in banca dato il suo carattere iperattivo che lo fa sembrare un eccitomane riesce a controllare magistralmente la situazione, guadagna la fiducia degli ostaggi e conosce qualsiasi trucco per evitare che siano inviati allarmi alla polizia. L'incasso però è irrisorio, il colpo andava fatto infatti appena dopo l'orario d'apertura e non appena prima della chiusura. Dopodichè comincia una sfilza infinita di telefonate della polizia che vuole trattare con John per arrivare ad una soluzione che non comporti nessun ostaggio ferito. Wojtowicz è sul baratro ma riesce a riprendersi in mano la situazione, uscendo dalla banca e affrontando con le sue richieste il capo di polizia Eugene Moretti, e conquistando con fare da arringatore il favore della folla che ammalia gridando "Attica! Attica! Attica!" e lanciando loro addirittura parte delle banconote rimediate in banca.

[caption id="attachment_219" align="alignleft" width="306"]Monumentale Al Pacino lancia banconote alla folla Monumentale Al Pacino lancia banconote alla folla[/caption]

Continua a giocare sul fatto che la polizia non possa permettersi dell'altro sangue davanti alle telecamere e istiga in continuazione le guardie armate. L'intero corpo di polizia a questo punto, dovendo fronteggiare anche lo scontento della folla, viene addirittura umiliato con richieste ai limiti del sensato. Memorabile la sequenza in cui un addetto porta le pizze a Wojtowicz che le aveva richieste per sfamare gli ostaggi e tra lui e Moretti nasce una discussione su chi dei due dovesse pagare. Si scopre che John è un omosessuale innamorato del compagno Leon e i soldi della rapina sarebbero dovuti servire per l'operazione di cambio di sesso del compagno (interpretato da Chris Sarandon). Leon viene condotto dalla polizia sul luogo della rapina per tentare di mediare ma il suo contributo non si rivela utile anzi il suo supporto convince John ad andare fino in fondo. Anche la madre è mandata da Wojtowicz dalla polizia come tentativo disperato di porre fine al dramma. Le richieste di John si fanno chiare, e sono le stesse anche dopo che l'iniziativa delle operazioni viene presa in mano dall'FBI e dal comandante Sheldon: un elicottero (che diventa poi un bus per problemi tecnici) per arrivare all'aeroporto dove un aereo avrebbe dovuto portarli in Algeria, in cambio sarà liberato un ostaggio ad ogni richiesta esaudita. Prima di uscire Wojtowicz fa scrivere ai dipendenti in ostaggio, con i quali si è ormai creato un rapporto di pacifica convivenza e complicità, il suo testamento nel quale implica che la sua assicurazione sulla vita sia devoluta in parte a Leon per la sua operazione in parte a sua moglie legale, Carmen, e alle sue bambine. La fine del film, rispecchiando la realtà, è tristemente scontata. Il vero Wojtowicz continua comunque ad affermare che i fatti narrati sono reali solo al 30%, non c'è mai stata infatti la telefonata a Leon, e il personaggio di Carmen nel film è puramente di fantasia.
Naturalmente il tema principale si rifa più al genere drammatico o poliziesco ma ciò che rende la pellicola una commedia è la stesura di una sceneggiatura invidiabile (che valse un oscar a Frank Pierson) basata però sulla capacità dei suoi interpreti. Per questo và riconosciuto gran merito a Lumet per aver saputo sfruttare al massimo il suo cast capitanato da un Al Pacino da libri di storia. locUn personaggio ambivalente, tutt'altro che freddo criminale, piuttosto inetto delinquente che grazie però all'intelligenza riesce a tener in scacco un'intero corpo di polizia. Non ci sono davvero parole per descrivere la sua interpretazione che è andata a creare uno dei personaggi più ammirati di questo genere cinematografico. Frenetico, schizzato, tristemente divertente ma anche sensibile, sia con gli ostaggi che con la folla e con il suo amante. Al pacino fa si che per tutta la durata del film aleggi il grottesco caratterizzante nel lavoro di Lumet e a detta dello stesso Wojtowicz, a cui sono andati 7500 $ più l1% dei ricavi del film, il personaggi sono stati perfettamente riprodotti sia da Al Pacino che da Chris Sarandon.
La sceneggiatura è di qualità ma senza perdere la sua semplicità, mettendo continuamente in relazione i tre punti di vista della vicenda (polizia; ostaggi; rapinatori) il film scorre tra azioni e reazioni esilaranti poiché continuamente fuori luogo. La polizia ridicolizzata, gli ostaggi praticamente complici del rapinatore, che con il suo temperamento poteva essere tutto meno che un rapinatore.
Scorrevole, divertente, ricco di suspense perenemmente sospeso tra humor e pathos Dog day afternoon è un film che rimarrà negli annali ed è un film assolutamente da vedere.

lunedì 13 maggio 2013

I Ministri di cui vogliamo parlare

La settimana è giusto farla ripartire con un pò di vitalità e non stupiamoci quindi se al Freaky times si parla di musica. Lo spazio è dedicato a una di quelle band che nel palcoscenico del rock italiano riesce ancora a lasciare il segno, nonostante il genere nel nostro paese non abbia mai raggiunto il livello di qualità e soprattutto di pubblico sperato. Ma la storia dei Ministri è diversa, grandi musicisti e sopraffini scrittori di testi, chiunque avrà l'occasione di poterli ascoltare magari non se ne innamorerà ma di certo se ne ricorderà, perché ogni canzone della band Milanese è creata unicamente per lasciare il segno. Nel 2005 Federico Dragogna, cantante e chitarrista, Davide Auteliano, voce e bassista, e Michele Esposito, batterista, amici del liceo, formano un gruppo rock con cadenza grunge, un tipo di sound portato al suo apice, senza nemmeno molta fortuna, dagli Zen Circus proprio verso la fine degli anni 90 con i quali hanno anche collaborato nel 2011, per l'album dei pisani "nati per subire". Fuori posto, fuori moda, brutti, grezzi ma neanche sociopatici, insomma una band senza dubbio diversa. Esordiscono con un album che ha un chè di sensazionale, per la schiettezza con la quale questi ragazzi urlano le proprie passioni e su tutto le loro critiche accompagnata da un trio classico per il rock duro (chitarra basso batteria) e che non ha nulla a che vedere con lo stilismo e la pacatezza dell'indie del tempo.

[caption id="attachment_206" align="alignleft" width="137"]I soldi sono finiti I soldi sono finiti[/caption]

"I soldi sono finiti", nel 2007, è la loro opera prima, e tanto per non farsi mancare nulla ironicamente inseriscono in ogni album una moneta da un'euro in omaggio. L'album procede tra testi ricchi di invettiva, intelligenti senza risultare aulici e incomprensibili, e melodie stracolme di rabbia energica che crea ritmo e intensità ma il capolavoro dell'album è senza dubbio l'ultimo brano "Abituarsi alla fine", dove la band esprime tutto ciò che è, e tutto ciò per cui fanno musica. La critica alla debolezza della propria generazione vista da fuori inevitabilmente tragica, ricca di speranza e illusione ma senza mezzi per la propria realizzazione.
Si capiva sin da subito che questa era una band sulla quale si poteva contare, sulla quale si poteva spendere, dalle grandi potenzialità e nel 2008 addirittura l'Universal decide di investire. Dopo l'Ep "La piazza" esce il 6 Febbraio 2009 il masterpiece "Tempi Bui", i Ministri proseguono scrivendo e suonando con la loro testa e nonostante ora sia una Major ad occuparsi di loro la linea dei ragazzi politicamente scorretti continua accompagnata per la prima volta da un discreto successo a livello nazionale. Con le loro giacchette napoleoniche portate con i jeans, diversamente dai Beatles nella copertina di Sgt. Pepper's, i ministri lanciano il singolo Bevo, tanto da farsi apprezzare anche dai meno affezionati al genere. Una di quelle canzoni di semplice denuncia, che ti sottolinea il problema senza proporti la soluzione sulla piaga dell'alcolismo, lo afferma anche lo stesso Dragogna che è una piaga dalla difficile soluzione perchè poche sono le alternative al bere; loro stessi ammettono di bere molto prima di salir sul palco perchè le vibrazioni e le ansie che ti provoca un concerto è ogni volta qualcosa di diverso unico e speciale. La band si serve di strutture classiche e forse banali ma ogni volta con una forza emotiva dirompente e frenetica.

[caption id="attachment_207" align="alignright" width="150"]Tempi bui! Tempi bui![/caption]

Come per "Bevo" anche "Tempi Bui", manifesto dell'album, prosegue con un frenetico ritmo tra accusa e autocompiacimento, chitarre alte e violenza la fanno da padrone anche poi nelle rivendicazioni di Diritto al tetto, l'ironia malinconica de "La faccia di Briatore", la voglia di fuga in "Berlino 3". Inseriscono in continuazione spassosi output con pezzi di canzoni popolari dalle napoletane alle turche o alle greche. Tempi bui non propone certo domani migliori, non nasconde o manipola la realtà, analizza e critica spietatamente l'oggi guidato da un pessimismo leggermente costruttivo. I riferimenti senza peli sulla lingua evidenziano la loro voglia di trasparenza, di essere diretti, antipatici ma realisti. Dopo due lp così in pochi si aspettavano che un terzo album potesse dirci qualcosa di nuovo sui Ministri o qualcosa di nuovamente sensazionale eppure "Fuori" regala ancora spunti politici e sociali e spoglia definitivamente i ministri da ogni loro maschera se ancora ce ne fosse stato bisogno. Bisognava vincere una sfida che come ci aspettavamo si erano proposti, diventare vecchi (o meglio crescere), senza invecchiare. Bisognava andarsi a prendere la corona di miglior gruppo italiano, parlando di rock, della nuova generazione. Non c'è con la stessa intensità il caratterizzante furore, non c'è neanche quello spirito battagliero e rivoluzionario che gli spingeva a sviscerarsi piuttosto che non arrivare dritti al cuore e alla testa delle persone. La riflessività e il cantautorato è la nuova sfida che provano i ministri, non solo nei temi ma anche nelle sonorità non dimenticandosi comunque di essere dei Rocker. Le tastiere, che potevano sembrare un banalissimo tentativo di decorazione, non si rivelano niente male, piacevoli e con una paraculissima cadenza pop. "Gli alberi", il pezzo forse più rappresentativo, sembra una citazione del "Barone rampante" di Calvino, anche se il video, con le loro facce che sono infarinate può anche far pensare a un rigetto per la piaga della coca e della droga in genere. Fatto sta che la canzone regala momenti di ottima musica, l'emblema del cambio di registro (interspaziando tra pop e rock) della band. "Noi fuori", ultimo singolo pubblicato ci ripresenta invece esplicitamente la condizione generazionale, ricalcando su quella rabbia stilistica tipica dei lavori precedenti e non abbandonandone il pessimismo (Noi fuori non sappiamo cosa fare!)

[caption id="attachment_209" align="alignright" width="250"]I ministri da destra a sinistra: Federico Dragogna, Davide Auteliano, Michele Esposito I ministri da destra a sinistra: Federico Dragogna, Davide Auteliano, Michele Esposito[/caption]

I ministri non hanno più un contratto con l'universal è vero, ma non vuol dire che il loro talento si sia esaurito anzi, può essere l'occasione per riprendere qualcosa di lasciato a metà, o approfondire tematiche e suoni che la pressione della major, in costante fame di guadagno, magari gli ha fatto abbandonare. Invece quest'anno esce "Per un passato migliore", etichettato Godzillamarket di licenza Warner music in collaborazione col produttore Tommaso Colliva, per la prima volta quindi il quartetto affiatatissimo ed efficace che i tre formavano col produttore Alessio Camagni non lavora insieme e i risultati credo gli vedremo entro breve, nella speranza che comunque questo disco, peraltro valido, possa portare tante soddisfazioni ad una band che decisamente se le merita.

sabato 11 maggio 2013

Il cattivo giornalismo: un problema sempre più reale

Sono stato subito entusiasta di ciò che mi attendeva quando Martin Morton mi ha assegnato come tema per il freaky day il “cattivo giornalismo” degli ultimi anni. Il nostro mecenate non ha mai avuto veri e propri problemi con la carta stampata ne tanto meno con i telegiornali, se non quando veniva sbattuto in prima pagina in seguito ai suoi numerosi  flirt con stelle di Hollywood, tuttavia ha sviluppato nell’ultimo periodo una forte avversione per i toni e le tematiche trattate. Forse è solo invidioso perché le sue storie non danno notizia da un po’? può essere…Tuttavia il lavoro è lavoro e io la pagnotta devo portarla a casa anche questo mese. Colgo comunque l’occasione per invitare Mr. Morton a darsi da fare come ai bei tempi se vuole fare ancora scalpore e soprattutto di invitarmi in queste sue “notti brave”.

Quando si parla di “cattivo giornalismo” negli ultimi tempi generalmente si imputano due tipi di errori a chi scrive:

  • L’essere di parte, raccontando le vicende e traendo conclusioni da un unico punto di vista,  corrispondente a uno dei soggetti coinvolti. Gli esempi più comuni di questo fatto sono certamente rappresentati dalle cronache politiche dei quotidiani schierati più a destra o a sinistra oltre che da cronache in cui si tende a notare discriminazioni etniche o raziali.

  • La necessità di fare notizia a tutti i costi. In questi casi abbiamo titoli eccessivi ed esagerati, dichiarazioni dei protagonisti interessati stravolte in modo sensazionalistico oppure estrapolate da un discorso ben più ampio al fine di attrarre il lettore. Nulla sembra importare dei fatti realmente accaduti, se non il loro appeal sul pubblico.


Il primo dei due errori è estremamente diffuso, anzi, potremmo dire che gran pochi quotidiani o telegiornali possono essere definiti apolitici (noi del Freaky Times siamo tra i pochissimi). Ogni testata ha un chiaro bacino di utenza e in base ad esso struttura gli articoli o i servizi e di conseguenza i messaggi da diffondere. Stando a ricerche chiare della sociologia dei media è chiaro inoltre che chi legge i giornali o guarda il tg lo fa unicamente per rafforzare l’opinione che ha già in testa: la stessa psicologia è d’accordo nel dire che nel momento in cui ci approcciamo ad un medium abbiamo dei meccanismi download (1)di difesa chiamati esposizione e percezione selettiva per cui rispettivamente cerchiamo di entrare in contatto con uno con cui di solito siamo in sintonia e in seguito interpretiamo le informazioni date secondo le nostre idee. Un esempio quanto mai chiaro di questo fatto è che nel caso fossimo stati degli anti-berlusconiani, per lo meno fino a quando era Emilio Fede a tenerlo,  non avremmo certo seguito il tg4, quasi all’unanimità percepito come di parte contraria alla nostra. Nel caso fossimo stati obbligati a farlo o fossimo al cospetto di un emittente non schierata, noi comunque interpreteremmo ciò che ci viene detto secondo quello che già pensiamo: per dire, l’affermazione  “Silvio Berlusconi ha questa mattina effettuato una donazione di tot milioni di euro all’associazione bambini orfani” ci apparirebbe come la sua volontà di apparire un buon samaritano nonostante i suoi numerosissimi misfatti. Non ci sogneremmo mai di cambiare la nostra opinione secondo quanto sentiamo dire di nuovo. Lo stesso vale ovviamente per qualsiasi altro personaggio politico e qualsiasi altra emittente di parte: prendere d’esempio Berlusconi è solo un modo come un altro di far comprendere il problema ma è molto più efficace in quanto è un personaggio da sempre controverso. Per queste ragioni avere una informazione non schierata è sicuramente desiderabile, ma probabilmente non otterrebbe i risultati che ci aspettiamo: pochissimi di noi si farebbero un’idea oggettiva sulla realtà poiché la stragrande maggioranza di noi avrebbe già una concezione in qualche modo preimpostata.

Il problema quanto mai risolvibile e a mio avviso necessariamente è invece quello dei sensazionalismi facili che tv e giornali propongono. Ogni evento, piccolo o grande che sia, ci viene proposto come qualcosa di enorme portata e di grandissimo interesse. Volete un esempio? La famigerata “morsa del freddo”!  Ogni inverno appena il termometro va sotto i 5 gradi, per metà del paese, un normalissimo cambiamento

climatico si trasforma in un avvenimento di portata catastrofica per i media, quando in paesi come la Germania andare sotto lo zero anche di alcuni gradi viene definito un fenomeno nella norma.

Finchè questa tendenza riguarda il clima, un tema comunque interessante poiché utile nella vita quotidiana, è in parte giustificabile, ma nel momento in cui arriva a toccare la cronaca, in modo particolare quella nera, la situazione si fa decisamente insostenibile. Appena viene commesso un delitto le tv e i giornali si fiondano sul luogo dove è avvenuto
download per raccontare tutto ciò che sta dietro all’accaduto. Essere adeguatamente informati è legittimo, ma accanirsi in modo morboso sugli atti del processo, gli interrogatori, le dichiarazioni dei vicini e parenti che magari in seguito si rivelano essere coinvolti in prima persona nell’accaduto appare un po’ troppo a mente lucida. Negli ultimi anni una decina di delitti hanno tenuto su metà di ciò che appariva sui giornali, i telegiornali  e nelle trasmissioni televisive: il piccolo Samuele a Cogne con la madre (Franzoni) indagata, il piccolo Tommaso rapito e poi scoperto ucciso da un operaio che lavorava col padre (che era anche stato intervistato chiaramente), Yara Gambirasio uccisa ancora non si sa da chi a Brembate (Bergamo), Chiara Poggi (a Garlasco), Meredith (a Perugia), Sara Scazzi (Avetrana), la piccola Denise (rapita a Mazzara del Vallo), Simonetta Cesaroni (il famigerato delitto di via Poma) e Elisa Claps (col corpo ritrovato decine di anni dopo la morte in una chiesa a Potenza). Mostrando comunque il massimo rispetto per le famiglie in questione, poiché in casi del genere è sempre doveroso, la domanda è: è necessario descrivere con tanta accuratezza eventi che portano comunque tanta sofferenza a intere famiglie in diretta nazionale? Qualcuno potrebbe obiettare che senza questa visibilità i casi andrebbero archiviati in pochi giorni, ma anche se fosse davvero un servizio utile parlarne in continuazione perché rovistare nelle vite di parenti, amici e conoscienti portando alla luce anche altri fatti spiacevoli, ma che magari non hanno proprio nulla a che fare coi delitti stessi? Come se ciò non imagesbastasse i media sembrano provare persino una certa soddisfazione nel vedere che in alcune circostanze il delitto non trova immediatamente una soluzione per poi potere così effettuare le indagini insieme alla polizia. Se oltre a tutto ciò, come già detto in parte, il colpevole si scopre essere una persona che immediatamente era stata esclusa dalla lista dei sospettati e che aveva magari rilasciato delle dichiarazioni o degli appelli per il colpevole a costituirsi la carta stampata e la tv, con una certo orgoglio mostrano a ripetizione le immagini dell’intervista in cui i criminologi cercano anche di ricostruire le espressioni facciali da cui avremmo dovuto sospettare di loro. Ultimo segnale di questo dramma è il settimanale “Giallo” in cui si tratta solo cronaca nera.

Atteggiamenti del genere portano a uno sviluppo della passione per l’osceno da parte del pubblico che arriva addirittura ad appassionarsi alle storie che ascolta e alle vicende giudiziarie. Secondo alcune teorie “l’o-scenità” è appunto ciò che sta “fuori o dietro alla scena” e che ha un enorme fascino. Secondo tale visione lo sciacallaggio mediatico sui delitti portato avanti per anni è osceno alla pari della pornografia e onestamente mi trovo perfettamente d’accordo. Se in orario di fascia protetta al telegiornale un bambino sente parlare di un delitto sanguinoso o ne vedele immagini è necessario indignarsi come di fronte alle scene hard spesso censurate nei film in prima serata.

I sensazionalismi, in questi come in altri campi, gioverebbero senza dubbio al giornalismo: è possibile dire il contrario? 



 

giovedì 9 maggio 2013

Il divo, un uomo di potere (6,5/10)

Questa settimana di Freaky times la dedichiamo quasi esclusivamente all'attualità e non si può non parlare del fatto che Giulio Andreotti, per le lacrime di qualcuno e il sollievo di altri, è venuto a mancare alla veneranda età di 94 età, insomma dalla vita non aveva più molto da chiedere. Quale modo migliore per raccontare questo personaggio se non quello di interspaziare tra cinema e cronaca contemporanea, alla quale il longevo Andreotti, durante tutti i suoi anni di successo, ha sempre dato spunti interessanti. Il film "Il divo", del 2008, è la ricostruzione cinematografica della "straordinaria vita di Giulio Andreotti", come la definisce nel titolo il creatore di questa vera e propria opera, Paolo Sorrentino, regista tra l'altro anche di "This must be the place", toccante lungometraggio con Sean Penn.

[caption id="attachment_195" align="alignleft" width="300"]Il freddo divo interpretato da Toni Servillo Il freddo divo interpretato da Toni Servillo[/caption]

Romano e romanista Andreotti nasce nel 1919, perde il padre a causa della guerra e durante l'adolescenza anche la sorella maggiore, uno che ha sempre imparato ad arrangiarsi per necessità sin dall'infanzia dopo aver frequentato ginnasio e liceo Andreotti decide di iscriversi a Giurisprudenza rinunciando a medicina poichè in quest'ultima vigeva la frequenza obbligatoria, cosa che Giulio non poteva permettersi visto che doveva trovare anche il tempo per lavorare e racimolare il sufficente alla sua sussistenza e della madre. Andreotti era bravo, capace, è chiaro anche ai più mediocri e meno perspicaci che la sua intelligenza fosse fuori dal comune, all'università entra a far parte della Federazione universitaria cattolica italiana, unica associazione cattolica riconosciuta tale dal governo fascista. Lì conosce Moro, gli viene presentato De Gasperi e quando quest'ultimo, nel 47, viene incaricato di formare un nuovo governo, il primo governo repubblicano, Andreotti viene nominato addirittura segretario del Consiglio dei ministri, a soli 28 anni. Un grande uomo politico, forse il più capace e ci sarà un motivo se dall'inizio della repubblica fino alla sua proclamazione a senatore a vita avvenuta nel 1992 Andreotti è sempre stato eletto funzionario di governo escludendo solo due quadrienni (1968-1972 e 1979-1983 quando proseguì andando contro i favori parlamentari la sua linea di "solidarietà nazionale"). Inutile elencare le sette volte alla presidenza del consiglio, i 6 anni consecutivi come ministro degli affari esteri, i 4 come ministro della difesa e poi ancora ministro di Beni culturali, dell'industria, delle finanze, del tesoro...Non si è però qui per parlare di scelte politiche, che a noi del Freaky interessano relativamente poco, piuttosto è interessante capire come si sia venuto a creare nei suoi confronti, da parter del suo popolo, quel sentimento ambivalente che oscilla tra amore e odio. Proprio a questo fine ci viene in aiuto Paolo Sorrentino, che ripercorrendo le ultime tappe della pazzesca carriera del "papa nero", ci vuol venire a insegnare non cosa fosse Andreotti ma chi. Che uomo si poteva nascondere dietro al grande diplomatico, al miglior mediatore, alla figura che più ha segnato nel corso della sua giovane storia la repubblica italiana. Nonostante alla fine del film lo spettatore più superficiale arriva a vedere Andreotti come la persona più gelida di questo mondo, subdolo, calcolatore, manipolatore e sostanzialmente mafioso è facile accorgersi come tutto ciò che ha fatto, di bene o di male, sia sempre frutto di criterio, di ragionamenti lucidi e spietatamente efficaci. Andreotti nel film è un ormai 62enne all'apice del successo politico e tutto sembra pronto per festeggiare la sua elezione a quella considerata la carica che maggiormente implicava potere, il presidente della repubblica. Arriva sicuramente in questo periodo la sua più grande delusione di carriera visto che dopo gli avvenimenti di Capaci, quindi la strage che ha portato al brutale assassinio del giudice Falcone, il parlamento, anche quasi tutti gli esponenti della stessa democrazia cristiana, gli volta le spalle, ritenendolo in parte responsabile non tanto per essere l'effettivo colpevole, idea visionaria, ma perchè quasi sicuramente lui sapeva e non ha fatto più di tanto per evitare l'avvenimento. A suo discapito venne eletto Scalfaro, con una vittoria schiacciante, lasciando a Giulio la magra consolazione di essere comunque nominato senatore a vita. Un pregiatissimo e azzeccatissimo Toni Servillo fa sul grande schermo di Andreotti un personaggio più che raro, unico. Sempre con un forte emicrania, patologia che si porta dietro da quand'era ragazzo, uomo dotato di grande senso di humor, e perfetto statista. Com'essere statista perfetto e piacere alla gente? Forse non è possibile ma questa domanda ad Andreotti non interessava, perchè? Perchè era dotato di grande senso di humor e alle persone pronte allo scherzo e autoironiche, come si definiva lui, non serve piacere alla gente. Ho sentito chiedere in un'intervista qualcosa di strano, un pò stupido; "Lei che lo conosce, Andreotti era un uomo di potere?". Non ho l'intelligenza di Andreotti ma non mi sembra necessaria per capire che Andreotti non solo è stato un uomo di potere, ma l'uomo che più di tutti in Italia, almeno fino a prima dell'avvento berlusconi, è stato il potere. Ecco il perchè di tante "malefatte": lui è un mafioso, si è arrivati a sentire che avesse avuto modo di compiere il rito ufficiale per entrare in cosa nostra al fianco di Totò Riina, quella cerimonia che prevede patto di sangue con un santino fiammante in mano; lui è il mandante dell'omicida di Pecorelli, giornalista che minava la sua fiorente carriera assassinato in Via Orazio a Roma la sera del 20 Marzo del 79; e tutte le continue rivelazioni fornite da pentiti di cosa nostra aiutano sempre più a immergerlo nella merda. Non dico che fosse una vittima, un martire, non sto facendo l'apologia di quello che probabilmente è un assassino ma ribadendo solo che la sua devianza è comprensibile, ammaliato sin dalla gioventù da potere e successo e forse cresciuto nella convinzione che "il potere logora chi non ce l'ha" ha usato tutti gli sconfinati mezzi a sua disposizione per il bene prima suo e poi dell'Italia. Una persona si divertente e divertita, come la si dipinge nel film, ma ossessivamente egocentrica ed egoista, dote inadatta ma in realtà perfetta, per fare il politico con la P maiuscola, come l'esperienza ci insegna. Un uomo che al caso non ci credeva, un uomo fortemente cattolico e chissà quante ne ha sentite monsignor Mario Canciani, confessore di Andreotti nella basilica di San Giovanni Battista dei fiorentini per più di vent'anni.

[caption id="attachment_197" align="alignleft" width="246"]"Io non credo al caso, ma alla volontà di Dio" "Io non credo al caso, ma alla volontà di Dio"[/caption]

-"Non ho mai creduto che si possa dividere gli uomini in due categorie. Gli angeli e i demoni. Siamo tutti medi peccatori"; Solo un assaggio dei magnifici dialoghi inseriti nel film per farci arrivare al meglio il messaggio del regista. Un uomo buono? No, non ha mai preteso di esserlo neppure lui stesso.Un uomo solo? Per ciò che era e per ciò che è diventato? Forse. "Mi creda, io so cos'è la solitudine; non è una gran bella cosa. Per il mio ruolo, per la mia storia, avrò conosciuto nella mia vita approssimativamente 300. 000 persone. Lei crede che questa folla oceanica mi abbia fatto sentire meno solo?". Un uomo giusto? Non necessariamente, un uomo che agiva per il giusto, o meglio per ciò che riteneva giusto. Chissà se in fondo qualcuno dopo il film riusicrà ad etrare nella testa di Andreotti, a vederci qualcosa più che un freddo stratega. Io ci ho vsto un uomo, lo ripeto, dal sublime ingegno, che si è tenuto stretto il suo amato potere perpetuando il male per circondarsi di bene. "La verità no; è la fine del mondo. E noi non possiamo consentire la fine del mondo per una cosa giusta. Abbiamo un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa. E lo so anch'io."