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venerdì 28 novembre 2014

Stanno arrivando le macchine volanti: Il futuro inutile è già qui

Ormai è da quando siamo piccoli (o da quando siamo giovani, dipende da quanto vecchiacci siete) che aspettiamo l'arrivo di un futuro che la fantascienza ci ha ormai assicurato essere pazzesco. Embrioni prodotti in laboratorio, uomini e animali geneticamente modificati da tutte le parti, colonialismo spaziale, sistemi operativi dall'intelligenza propria e le sempre verdi macchine volanti.




[caption id="attachment_902" align="alignright" width="191"]Quel che ci ha insegnato la fantascienza Quel che ci ha insegnato la fantascienza[/caption]

Da quando Blade Runner le mostrò questi aggeggi, in tutta la loro semplicità (semplicemente automobili che, quasi annoiate dall'asfalto, si libravano arroganti nel cielo), l'umanità se n'è innamorata. Del resto a chi non piacerebbe volare da casa al lavoro, guardare tutti come se fossero formiche e provare l'ebrezza di sputare, o gettare rifiuti vari, da un finestrino ad oltre 50 mt di altezza. Pensate alle gare mediatiche per una buona ripresa di un incidente automobilaereo o a che cosa si potranno inventare i mendicanti per pulire vetri o chiedere elemosine! Pensate a tutte le iniziative delle major delle case automobilistiche volte a ricreare vecchi modelli formato auto-volante, come una flying-FIAT 127, chi non la vorrebbe? proprio quest'ultimo punto, non pensato dal Freaky, è stato l'input per quest'articolo. Mister Renaud Marion, un fotografo francese un pò visionario un pò fancazzista pieno di consensi, ha deciso di dare corpo alle fantasie dell'infanzia che la fantascienza gli aveva passato e ha messo su una mostra chiamata Air Drive. All'MB&F M.A.D a Ginevra, Marion, attraverso una particolare tecnica di assblaggio digitale, rivisita i più influenti modelli automobilistici del passato trasformando ad esempio una semplice Porsche356 in una straordinaria Porsche356-volante. Le architetture "retrofuturiste" che ricordano gli anni '70 descritti in Arancia Meccanica, fanno il resto per rendere la spassionata mostra di un fancazzista un suggestivo stimolo al futurizzarsi. Forse non tutti lo sanno ma ci sono, inspiegabilmente, un sacco di azende multimiliardarie che si stanno muovendo per regalare al mondo un auto volante: forse qualcuno ha già sentito parlare di Terrafugia, compagnia americana che, ne è convinta, nel 2016 lancerà Transition, un ibrido che potrà viaggiare sia su asfalto che tra le nuvole. Il costo sarà attorno ai 200.000 testoni e sarà dotato di air-bag paracadute, ruota di scorta e, purtroppo, non si potrà sputare dal finestrino. Il progetto che ci ha più interessato però è quello chiamato TF-x, che secondo Terrafugia sarà commercializzabile verso il 2021 e ad un prezzo più abbordabile al grande pubblico. Si tratta di qualcosa più vicino all'idea classica di macchina volante; desing moderno, decollerà in verticale, porterà fino a quattro persone e la potrai parcheggiare in garage. Così l'ambiziosa Terrafugia prova a mostrarci il domani, convincendoci anche attraverso un motto di tutto rispetto probabilmente ideato dai creativi di Italia7Gold: "Terrafugia. Facciamo macchine volanti" Brividi.




[caption id="attachment_903" align="alignright" width="300"]Aeromobil 3.0 Aeromobil 3.0[/caption]

Purtroppo per quella che a questo punto definirei la mia azienda preferita, qualcuno li ha preceduti e nel 2015 l'AeroMobile, compagnia slovacca, lancerà sul mercato Aeromobile 3.0 (ora ne deduciamo definitivamente che chi inventa le macchine volanti non ha gran fantasia), un ibrido terra-aria (come Transition) per la quale è già stata approvata l'omologazione come "voli ultra leggeri". Insomma potrai tranquillamente andartene in giro per strada e, non appena senti la necessità di inquinare anche l'aria che non è ancora stata inquinata, dispiegare le ali (apertura 8m) e librarti nel cielo pavoneggiandoti come meglio credi.
Il fatto è che in molti vedono la corsa alle auto-volanti un effetto collaterale del successo della fantascienza. Insomma nessun film aveva idealizzato gli i-phone eppure eccoci qui ad idolatrare il telefono apple come una delle più grosse rivoluzioni tecno-sociologiche della società contemporanea. Al contrario quasi tutti hanno pensato alle macchine volanti senza mai affermare però: "Massì, un'ottima trovata scenica ma non serviranno mai a un cazzo vero." non disse Ridley Scott.




[caption id="attachment_904" align="alignleft" width="284"]La dignità fatta ad automobile Chevrolet MAtiz, la dignità fatta ad automobile[/caption]

Beh è chiaro anche a noi del Freaky che le macchine volanti, oggi come oggi, aiuterebbero soltanto a rafforzare esponenzialmente quel senso di risentimento che ti viene ogni volta che tu, proprietario di una dignitosissima Chevrolet Matiz, ti vedi sfrecciare davanti un Aston Martin con i fari allo xeno. Qui lo dico e qui lo nego, le macchine volanti saranno il primo passo della rivoluzione mondiale dei poveri contro i ricchi.
A parte gli screzi (più che altro scherzi) sociologici riguardo l'invenzione, và detto che veramente sembra una cosa invendibile, cioè si carina magari ci fai un giro con la ragazza o fai il figo con qualche amico ma poi la lasci in garage a tempo indeterminato e la usi solo in occasione di viaggi molto lunghi (considerando i prezzi forse meglio un biglietto business con l'Etihad). Non perchè sia un invenzione di per sè inutile ma perchè la fantascienza l'aveva immaginata inserita in un ambiente diverso. Le auto volanti, secondo me, andrebbero commercializzate non appena l'ingegneria architettonica le renderanno utili. Con tutte le megalopoli che si sviluppano specialmete in verticale quanto sarebbe bello nell'ora di punta salire sopra i palazzi e spostarti ad una velocità che non conoscevi neanche? Un pò quello che hanno fatto con le metropolitane dall'altro lato. Infatti credo che, più che specializzarsi nell'ingegneria volante dedicata ai privati, la scienza cercherà il modo di regalare un nuovo mezzo di trasporto pubblico nelle grandi città, al di sopra dei grattacieli, dove sicuramente ci sarebbe meno caos che nei tubi dell'underground.
Il Freaky starà attento a tutto ciò conservando nel profondo la speranza che, nei prossimi anni, qualche parente facoltoso ci bussi alla porta per dirci :"E butta via sta minchia di chevrolet!"

giovedì 27 novembre 2014

Cookie wants you!

Attenzione: qui parliamo di web cookie, non di cookies, per le ricette consultate pure il blog di Benedetta Parodi!images


A chi non è capitato di essere perseguitato dai cookie navigando in rete!?


Se siete tra quei 2 o 3 che sono intelligenti ma non si applicano, questa è la definizione informatica di cookie:


In informatica i cookie HTTP (più comunemente denominati Web cookie, tracking cookie o semplicemente cookie) sono righe di testo usate per eseguire autenticazioni automatiche, tracciatura di sessioni e memorizzazione di informazioni specifiche riguardanti gli utenti che accedono al server, come ad esempio siti web preferiti o, in caso di acquisti via internet, il contenuto dei loro "carrelli della spesa".


imgresIn altre parole, sono tutte le pubblicità che contornano il vostro motore di ricerca con informazioni su qualcosa che avete cercato in precedenza.


Siamo talmente sovraccarichi di cose da vedere nel web che a volte non ci facciamo caso..Ma fateci caso, prima ne rimarrete stupiti, poi diventerà un dramma!


Il dramma si crea, per esempio, quando cerchi un paio di scarpe, una borsa, degli occhiali.. Che magari ti piacciono ma li hai guardati solo per farti un'idea, perché che ne so, non hai 2.000 euro da spendere per delle scarpe! E cosa succede poi? Anche se la tua idea te la sei fatta, saranno quelle scarpe a venire a cercare te! E allora inizieranno le manie di persecuzione, sentirai mancare la tua privacy e un grande senso di frustrazione si impossesserà di te! Sí, frustrazione, perché quelle scarpe non saranno mai tue. Ma saranno lì, ad aspettarti, la prossima volta che inizierai una ricerca in Google.


I cookie sanno perfino stupirci! Vi porto un esempio concreto di qualche giorno fa.images (1)


Stavo facendo una ricerca sull'11 settembre, avevo cercato giusto 2 informazioni, e chi mi appare? Bin Laden! Non in persona, dicono che sia morto, ma nella pubblicità intorno alla pagina. Dopo pochi secondi ecco che Amazon mi offre la pubblicità di comprare il libro sulla vera storia di Bin Laden e quello sulla vita dopo l’attento.


 I cookie sono così, anche quando tu non ci pensi, loro sono li, loro, ti pensano. Quindi se vi sentite soli e abbandonati, fate 2 ricerche in Google e vedrete come i cookie inizieranno a prostrarsi a voi.


I cookie sono con noi, sempre.

mercoledì 26 novembre 2014

"A History of Violence", Cronenberg maestro esistenzialista (7,5/10)

Scorrendo indietro nel tempo, tra gli articoli di cinema che il Fraky ha proposto, ci siamo accorti di non aver mai menzionato un maestro di cinema contemporaneo come David Croneneberg, nè per uno qualsiasi dei film da lui diretti nè per le sue numerose, quanto brevi, apparizioni da interprete, come quando ne "La Mosca" interpretò magistralmente un ginecologo.
Un ebreo ateo classe 1943, nato a Toronto in Canada, Cronenberg si propone come cineasta avanguardista e intellettuale, pronto a spingere all'estremo i mezzi comunicativi della settima arte e sin dai suoi primi talentuosi lavori si comprese quanto un regista del genere potesse aiutare ad evolversi generi stereotipati e ormai stantii. Ma l'approfondimento di horror e fantascienza è solo l'inizio; il Cronenberg dell'ultimo decennio và ben oltre le sue origini ricercando in altri generi una raffinatezza espressiva senza veli e diretta anche ad un pubblico mainstream. Per presentare meglio il vecchio David parleremo oggi di "A History of Violence" (2005), il mezzo cronemberghiano per raccontare l'ambiguità e forse l'illusorietà del sogno americano: un thriller a tinte noir che, se pur ispirato ad un romanzo grafico del 1997 (Una storia violenta), non perde mai lo stile del regista canadese, capace di reggere anche ad Hollywood. loc
La tranquilla vita di Tom Stall, cittadino di Milbrook, Indiana, viene scossa dall'aggressione, alla sua tavola calda, da parte di alcuni banditi che fortunatamente lui riesce ad uccidere prima che potessero creare problemi. Questo lo rende un eroe mediatico e la sua faccia attira la furia di un certo Carl Fogharty, boss della mafia irlandese nell'east-coast. Carl e i suoi scagnozzi arrivano alla tavola calda da Philadephia e per una qualche ragione a noi sconosciuta continuano a rivolgersi a Tom chiamandolo Joey. Fogharty (un sempre monumentale Ed Harris) ha un solo occhio funzionante e vede in Tom l'uomo che vent'anni prima ha tradito il suo clan e distrutto il suo occhio. La tensione che si viene a creare attorno la famiglia Stall passa in poco tempo dall'essere surreale all'essere concretamente terrorizzante. L'escalation di violenza è annunciata ma dirompente, fa breccia nello spettatore scuotendone schizofrenicamente le viscere e ci mostra finalmente, perchè è un momento che il ritmo del film è capace di farti attendere sin dalle prime sequenze, la fragilità individuale e individualista dei protagonisti; le reazioni alla realtà effettiva che hanno soprattutto il figlio teenager Jack e la moglie Edie rendono efficacemente la disperazione che ti travolge quando vedi il mondo che hai costruito con fatica, dedizione e sentimento attorno a te, sgretolarsi in un attimo, distrutto da un illusione, distrutto da una bugia bianca, in buona fede, ma pur sempre bugia. Alla fine del film, come se Tom realizzasse di essere lui il colpevole, lui la persona cattiva (un dubbio che lo attanaglia psicologicamente da una vita) decide di affrontare una specie di resa dei conti, tornando a Philadelphia. L'ultima scena del film è emblematica, è quella che sembra ricomporre l'equilibrio andato distrutto. La famiglia di Tom, che lo aveva accettato pur senza comprenderlo, che lo aveva difeso pur senza convinzione, lo riaccoglie nel silenzio del gesto di una bambina che, vedendo il proprio padre in un imbarazzante difficoltà, in piedi di fianco al tavolo dove il resto della famiglia sta mangiando, si alza, prende un piatto e lo sistema nel posto dove si era abituata a vedere il padre, prima che una storia di violenza mettesse a dura prova la sua serenità esistenziale.




[caption id="attachment_849" align="alignleft" width="276"]Viggo Mortensen (Aragorn/Granpasso) vs Ed Harris, in una scena del film. Viggo Mortensen (Aragorn/Granpasso) vs Ed Harris, in una scena del film.[/caption]


La violenza, tema filo conduttore del film, è dipinta da Cronenberg come qualcosa di inevitabile ma che và a braccetto con la destabilità, con la patologia (il rapinatore che striscia come un animale in calore la sua zampa sul seno dell'ostaggio) ; la violenza in Cronenberg, se pur ben radicata nei meandri dei rapporti umani, è qualcosa che nasce dalla malattia e non dalla salute, dallo straordinario più che dall'ordinario. Ma non c'è solo questo. Cronenberg è un maestro nel provocare disgusto, nel trasmettere un senso forte di disagio allo spettatore attraverso i dettagli, le inquadrature taglienti e le emozioni sui volti dei protagonisti (buona prova di praticamente tutto il cast) in questo film il disagio diventa necessario a comprendere la diffusione inarrestabile di un virus come la violenza. Insomma, non vuole sottolineare quanto la violenza sia cattiva, ingiusta o animalesca ma ci vuole far capire come sia intrinseca all'esistenza, quasi come fosse la strada per far evolvere l'individuo.




[caption id="attachment_850" align="alignright" width="293"]Sesso sulle scale Sesso sulle scale[/caption]

Il sesso sulle scale liberatorio e selvaggio tra Tom e Edie, più simile ad una lotta, l'esplosività emotiva della rissa con cui Jack si ribella ad un bullo a scuola (gli fracassa la testa per terra) o l'aggressività verbale della moglie Edie nei confonti delle accuse dello sceriffo amico di famiglia sono alcune delle testimonianze con le quali il regista vuole renderci chiara la sua concezione di violenza esistenzialista, un processo attraverso il quale il protagonista scopre sè stesso affrontando ciò che non ha mai avuto il coraggio di affrontare. Il momento del sangue, infatti, il momento della violenza tradizionale, non è mai esasperato o coreografato da effetti barocchi; è la violenza nuda e cruda, realista, istantanea, violenta sul serio. Un film sicuramente forte, sicuramente moderno (il fatto che non traspare mai dove il film voglia andare a parare né è la prova, sarà un film drammatico o un thriller psicologico?...) e dal quale i giovani cineasti hanno qualcosa da imparare, dalla sequenza iniziale (degna di maestri del genere come Lynch o Billy Wilder) a quella finale.

martedì 25 novembre 2014

I Migliori Centrocampisti di sempre!

Proprio in questi giorni il Uefa sta rendendo pubbliche le nomination per costruire l’11 coi migliori calciatori del 2014. Non male se volete partecipare alla votazione, tuttavia gli 11 vincitori sono facilmente pronosticabili visti i successi di squadroni come la Germania e il Real Madrid che già vedevano comparire le proprie stelle gli anni scorsi in cui non vincevano nulla. Tutto questo preambolo per dire che se c’è una lista di calciatori con cui vi potete divertire e sorprendere è quella fatta del Freaky: altro che Uefa. Quest’oggi tocca a un ruolo in cui da sempre fa da padrone la fantasia e l’estro, insieme alla capacità di vedere la giocata prima degli altri. Parliamo dei centrocampisti centrali (o cc per dirla in termini da giocatori di pes incalliti).imgres




  • Andrea Pirlo. Invece del solito passo nel passato per andare a cominciare con i primi interpreti del ruolo oggi cominciamo con uno degli ultimi a rendere grande la posizione di CC. Geniale nel gioco quanto schivo e riservato nella vita privata, Pirlo ha saputo essere un esempio per generazioni di calciatori: la sua velocità di pensiero unita a una tecnica sopraffina sono le sue caratteristiche principali. Dopo aver vinto tutto col Milan ed essere tornato ad altissimi livelli con la Juve di Conte ora si dedica alle bevute a tempo pieno, salvo deliziare il pubblico ogni domenica quando le ginocchia lo permettono. Rimane decisamente troppo lento per sperare di download (4)vincere mai un pallone d’oro, ma con un piede così chi ne ha bisogno?

  • Gianni Rivera. Primo italiano a vincere il pallone d’oro (se non consideriamo l’oriundo Sivori nel 61), Gianni è stato una bandiera del Milan e della nazionale durante tutta la sua carriera. In molti lo ricordano per le 2 Champions League, l’europeo e le 3 serie A in bacheca: noi preferiamo rammentare la partecipazione a ballando con le stelle e la carriera da parlamentare.download (5)

  • Didier Deschamps. Centrocampista dotato di buoni piedi, di un passaggio filtrante devastante ma anche di quantità, Didier è uno dei pochi giocatori europei ad aver vinto tutti i trofei internazionali possibili visto che oltre alle 2 Champions (con Marsiglia e Juve) e il Mondiale 1998, si è aggiudicato anche l’europeo del 2000 con la sua Francia (questi ultimi da capitano). Il giocatore perfetto se non fosse che sia nel 1998 chennel 2000 ha eliminato l’Italia dai tornei poi vinti.

  • download (2)Giancarlo Antognoni. Faro del centrocampo azzurro del mondiale 1982, Giancarlo è passato alla storia come l’assoluta bandiera della storia della Fiorentina (unica squadra italiana con cui ha giocato). In molti pensano che i suoi rifiuti a lasciare Firenze per una squadra più blasonata del nord siano stati un peccato ma forse non ricordano che nei 15 anni in viola portò a casa la bellezza di una coppa Italia e un Trofeo Anglo-Italiano (mica bruscolini). Esaltante, al contrario, il fine carriera al Losanna.images

  • Juan Alberto Schiaffino. Soprannominato da tifosi uruguaiani coi piedi per terra “El Dios del Futbol”, Juan  è probabilmente il miglior calciatore uruguaiano di sempre. Con la nazionale conquistò il mondiale 1950 nella finale del Maracanazo, per poi trasferirsi prima al Milan e poi alla Roma. Da ricordare la coppa delle Fiere alzata coi giallorossi download (6)nel 61(a tutt’oggi loro unico trofeo internazionale).

  • Johan Neeskens. Soprannominato Johan II per la  coppia formata con Cruijff all’Ajax, nel Barca e nell’Olanda  è stato uno degli interpreti più rivoluzionari del suo ruolo. In una nazionale che inventava il calcio totale e la zona i suoi tempi dettati a centrocampo furono preziosi per i successi conseguiti in ambito Internazionale. Un momento: quali successi? A parte gli scherzi le 3 Champions con l’Ajax ripagano sicuramente le delusioni ai mondiali del 74 e del 78 e fanno del bel Johan un membro tra i principali della nostra top10.download (1)

  • Paulo Roberto Falcao. Bandiera prima dell’Internacional e poi della Roma, Falcao è stato il regista di quello che per molti è il Brasile migliore di sempre: quello sfortunato del 1982. Definito dai suoi compagni “allenatore in campo” per le doti carismatiche fu un buon download (3)interprete sia della fase offensiva che difensiva.

  • Xavier Hernandez (Xavi). Conosciuto come “ il professore”, Xavi è stato ed è tutt’ora insieme al pallidissimo Iniesta membro di uno dei centrocampi più forti di sempre: quello del Barca. Durante il regno Guardiola il catalano è stato mente e braccio insieme della squadra blaugrana realizzando quasi 60 gol e ispirandone molti altri.

  • Luis Suarez Miramontes. Primo Spagnolo a conquistare il pallone d’oro negli anni 60 è stato il centrocampista per eccellenza vincendo, tra l’altro, 2 Champions con l’Inter e un europeo nel 64.download (7)

  • Steven Gerrard. Se chiedete ai centrocampisti di tutta Europa a chi si ispirano sicuramente nessuno vi risponderà Giannichedda. Decisamente più probabile è che il 90% di loro vi risponda Stevy G. Con un fisico dirompente e un piede sopraffino, infatti, Steven ha fatto la fortuna del Liverpool negli ultimi 15 anni. Grazie al suo destro potente e preciso ha potuto realizzare una quantità impressionante di gol da fuori area e portare sotto la Cop tutti i trofei che meritassero di essere vinti. Mah...la Premier League?!



 

venerdì 21 novembre 2014

Addio Nokia!

Anche voi possedevate un indistruttibile Nokia 3310? Bene: la società che ha prodotto il telefono più diffuso di sempre (seguito a buona distanza dagli ultimi iphone) non avrà più i diritti per la produzione degli smartphones. Già dal 2013, infatti, la divisione della imgressocietà finlandese che produceva cellulari è stata acquistata dalla Microsoft.  Niente più marchio NOKIA sui cellulari contenenti il sistema operativo Windows 8 e successivi:  sugli apparecchi apparirà semplicemente l’icona Microsoft. Con l’uscita del nuovo Lumia 535 la compagnia di Bill Gates sarà finalmente in grado di competere con iOS ed android a cui, fino ad ora, non aveva sottratto molti clienti.


Questa svolta segna indubbiamente la fine di Nokia come l’abbiamo conosciuta fin’ora. Quella che fino al 2012 è stata la principale produttrice e venditrice di apparecchi, con l’arrivo degli smartphones non è stata in images (1)grado di tenere il passo delle principali rivali, le quali, pur avendo prezzi infinitamente più alti, potevano godere di partnership di rilievo. Sembra siano state proprio queste le cause principali del declino di Nokia: mentre Android abbinava al proprio sistema operativo degli accordi con Google e Youtube e la Apple perfezionava le proprie campagne marketing fino a rendere l’uscita del nuovo iphone un vero e proprio evento, Nokia si accorgeva che produrre telefoni di buona qualità a prezzi accettabili non era più ciò che i clienti cercavano. Fa riflettere questo cambio radicale dell’aspettativa del downloadpubblico rispetto ai cellulari anche perché la compagnia negli anni è comunque riuscita a mantenere una buona reputazione: insomma il declino di Nokia sembra dovuto ad un semplice “cambio delle mode” repentino (dal 2012 sono passati solo 2 anni) che difficilmente avremmo potuto prevedere. È indubbio che il sodalizio tra Microsoft e Nokia non possa che giovare alla compagnia svedese considerando che la gran parte di chi possiede un computer ha un PC e non un mec o altro. Se il buon Bill Gates saprà sfruttare tale esclusiva non potrà che esserci un ritorno di Nokia agli antichi fasti, ma questa volta senza il marchio originale.

giovedì 20 novembre 2014

Da sempre Simpson vs Griffin, chi è il migliore?

Oggi, qui al Freaky, cercheremo di dare finalmente risposta ad uno dei più grossi quesiti riguardanti il mondo della televisione, uno di quei quesiti epocali che ti costringe a passare notti insonni e giornate insignificanti: quale sit-com animata è la migliore? Quella del ciccione giallo, calvo e con un pastello nel cervello o quella del ciccione bianco, quattrocchi e mentalmente ritardato? I Simpson o i Griffin?1
Probabilmente non c'è nessun motivo per presentare queste due famiglie che conosciamo tutti benissimo ma noi, sia per amore della professionalità che per occupare importanti righe, le presenteremo. La famiglia Simpson appare per la prima volta ancora prima che cadesse il muro di Berlino, su un esperimento animato del lontano 1989. In meno di un decennio Homer, la moglie con l'obelisco blu in testa Marge, il pestifero Bart, la tuttologa Lisa, la fastidiosissima infante Maggie e tutta la città di Springfield, stato di , conquistano il cuore dell'America intera. Lo stesso percorso che una decina di anni dopo segue la famiglia Griffin, all'apparenza addirittura più normale. Peter, Lois, i loro figli Meg Chris e Stewe, e il cane parlante Brian vivono a Quoagh, Rhode island, non sono gialli e, per delle inspiegabili coincidenze, sono più volte accusati di essere uno squallido plagio dei Simpson. Peter e company però riescono ben presto a dimostrare di essere qualcosa di diverso (a onor del vero se Homer è stupido, Peter è una nutria, se Bart è una peste Stewie è un sociopatico), e dopo aver rischiato la cancellazione definitiva nel 2003, tornano 2 anni dopo più forti che mai e tra critiche e consenso, proprio come i Simpson, sopravivvono fino ai giorni nostri.
Forse qualcuno continua a chiamarle Sit-com, ma dovrebbe essere chiaro a tutti che il talento sgorbutico e infettivo di Matt Groening e quello masturbativo di Seth MacFarlane hanno creato schemi universali dai quali attingere al sapere ogni volta che qualcuno di noi, che come unico scopo di vita abbiamo quello di ritrovarsi a vivere in quelli schemi, ha qualche curiosità o qualche dubbio sull'American Way. Perchè diciamocelo, dopo essersi anche minimamente affezionati ai personaggi, ecco che subentra l'invidia; mi andrebbe bene sia la vita di Peter che quella di Homer, con un cervello talmente vuoto da non crearmi problemi, una moglie casalinga e porcellona, la viletta a schiera, un lavoro che riuscirebbe a svolgere una cernia senza tentacoli ma che mi mantiene la famiglia e l'alcolismo e i fottutissimi figli, che per la maggior parte del tempo tentano di demolire il paradiso attorno a me ma che, saltuariamente, regalano grandi soddisfazioni.




[caption id="attachment_821" align="alignleft" width="160"]Perplessità? Perplessità?[/caption]

Tornando alla domanda a cui il Freaky si era riproposto di rispondere, come possiamo stabilire scientificamente chi sia meglio tra i Simpson e i Griffin? Naturalmente non si può e così ci è venuto in aiuto il sempreverde metodo di sparare un numero da uno a mille e aprire il vocabolario a caso. Quindi abbiamo scelto di scegliere attraverso 5 punti casuali di darvi una risposta oggettiva. Inizialmente non troverete un significato nè alla frase precedente nè a tutto ciò che seguirà, ma dato che siete arrivati a questo punto nella lettura dell'articolo sembra che tempo da buttare ne abbiate parecchio.
Simpson vs Griffin! 0-0
1) Comicità: la comicità è una cosa seria, una cosa difficile da riprodurre e soprattutto difficile da rendere apprezzabile. Far ridere mantenendo uno stretto contatto con la realtà e con il realismo è il compito del comico ed è forse il pezzo forte dei Simpson, che riescono a farci ammazzare dal ridere senza sembrare mai forzati, riuscendo a fondere realtà e immaginazione con un equilibrio che i Griffin non hanno neanche mai conosciuto.
"Sono solo un bambino nessuno mi ascolta"
"Sono un povero vecchio, nessuno vuole starmi a sentire"
"Io sono un uomo bianco tra i 18 e i 49, tutti mi ascoltano nonostante i miei suggerimenti cretini..."
2) Demenzialità: così come non ci poteva essere da discutere sull'assegnare il round precedente ai Simpson, allo stesso modo è lampante che i più tremendamente demenziali, sono i Griffin, che hanno raggiunto l'apoteosi di questa forma satirica grazie agli instancabili flashback, quelle gag che li hanno resi celebri e amati. Tanto che ogni qualvolta uno dei personaggi pronuncia le famose parole "Come quella volta che..." allo spettatore viene l'acquolina in bocca per la stronzata a cui sta per assistere.
Come quella volta che Peter scelse la scatola.


Gag epocale di Peter


3) Affetto: Finalmente la sfida si fa interessante. Per essere esaustivi anche nel punto 3 premettiamo che nonostante possa sembrare un punto su cui domina la soggettività non lo è. Nel nome dell'oggettività più pura, decidiamo noi. Qui cominciamo ad espanderci; è chiaro che siamo molto affezionati a entrambi i nuclei familiari, che in un modo o nell'altro ci hanno conquistato nella loro totalità, allora bisogna andare a capire in quale delle due città tra Springfield e Quoagh ci piacerebbe vivere. Insomma, ci piacciono di più Apu, Winchester, Burns ecc o Joe, Tom Tucker, Quaghmire ecc? In momenti come questi del match, in cui l'equilibrio regna sovrano, è la qualità che fà la differenza e bisognerà ammettere che i Simpson, nella creazione dei personaggi, ne hanno infinitamente di più. Non c'è bisogno di citare tutti i tormentoni (quasi tutti nei Simpson prima o poi ne hanno uno) per farvi capire quanto anche voi, che ne siate coscienti o no, preferite mille volte Springfield. Non tanto perchè l'ha deciso il Freaky ma perchè è quella che conoscete meglio: Conosciamo meglio Boe che l'Ostrica Ubriaca, conosciamo meglio Skinner che boh, conosciamo meglio Apu che Goldman, o Burns che il capo di Peter; di conseguenza siamo più affezionati a loro!


Nonostante siano dei burini:


Springfield e la monorotaia


4) Parodismo: Anche la parodia è una cosa seria, a volte ha intento satirico, a volte critico a volte è semplicemente una spassionata trovata occupare righe, in ogni caso la parodia è pian piano diventato un elemento fondamentale per creare sit-com di successo. Prima lamentavo della qualità dei Griffin, è vero, nè i personaggi nè le storie ne sono intrisi, ma le parodie che vengono in mente a MacFarlane sono di prima qualità. Tutti ricorderanno Blue Harvest e la parodia a guerre stellari ma non stiamo parlando solo di quello, Stiamo parlando anche e soprattutto delle milioni di citazioni che i Griffin propongono solo per dissacrare intelligentemente facendoti spesso pisciare sotto. Qui sono i Simpson che hanno qualcosa da imparare, perchè anche se l'uso del parodismo nei Simpson c'è, non è mai riuscito a farci ridere tanto come quella volta che...


Toccato da un angelo


5) Idolatria. Siamo arrivati in fondo e l'unico modo per decretare il vincitore è, come spesso capita, deificare. Bisogna superare le banalità; basta dire che lo stile di vita di Homer o di Peter sono semplicemente l'emblema dell'American way e ammettiamo, con devoto rispetto, che il loro non è uno stile di vita, ma una filosofia. Una filosofia che, a causa dell'ignoranza del filosofo, non trova fondamenti e che si ritrova ad assomigliare più ad una religione con Homer e Peter profeti solitari. Ma, nei vari livelli di idolatria, chi stà più in alto trai due? Ormai mancheranno una dozzina di righe alla fine dell'articolo e possiamo rivelarlo; il punto 5, e forse non è il solo, è fortemente soggettivo. Perchè io credo sia in Peter che in Homer, insomma magari saranno personaggi di fantasia (non è ancora stato dimostrato che esistano ma siamo sulla buona strada) ma hanno vinto alla lotteria della vita. Hanno vinto nella maniera in cui a tutti gli uomini, di ceto medio o no che siano, piacerebbe vincere, guadagnandosi con dedizione lo status di "Idolo". Quindi appurato che la deificazione è già avvenuta sia per i Simpson che per i Griffin diventa un discorso numerico, come dire: il cattolicesimo è meglio dell'islam perchè ci ha fatto cascare più gente. La flotta di fedeli più estesa ce l'ha sicuramente Homer, il primo uomo occidentale, dai tempi di Gesù, a raggiungere deificazione e idolatria. Un uomo che ci ha trasmesso valori che vanno ben oltre la banalità dell'elemosina e del sacrificio (valori stantii il cui solo suono comincia ad inquietare le palle): valori rivoluzionari di ozio e lussuria, sbronze e debolezze, senza mai dimenticarsi di avere un'amorevole famiglia a carico.
"Oh...Il Signor Burns ha detto che lo scopo della sua vita sarà fare in modo che i miei sogni non si realizzino mai... Fammi sentire meglio Marge fammi sentire meglio!"
"Oh Homer...Quando i sogni più grandi di un uomo sono quelli di mangiare costolette, accoccolarsi di tanto in tanto e spaparanzarsi il giorno libero sul divano, nessun'uomo al mondo potrà portarglieli via."




[caption id="attachment_822" align="aligncenter" width="222"]Il vincitore.... Il vincitore....[/caption]

martedì 18 novembre 2014

Isolamento tecnologico: ma ci siamo mai parlati?

Da quando ero una bimba che girava la città per mano della mamma ho sempre passato molto tempo con la testa in su, a guardare le persone, quello che facevano, come si vestivano, come parlavano, chi volevo diventare. Parlavo poco e guardavo tutto. Oggi le cose bimbonon sono cambiate (a parte per il fatto che parlo tanto e forse troppo) ma continuo a osservare chi mi sta intorno.


Pochi giorni fa ero al solito binario 3 ad aspettare il treno e, fino quando la voce non ha annunciato che il treno era in arrivo, avevo il mio Smartphone in mano. Una volta sentito l'annuncio, benché sapessi benissimo che il treno sarebbe arrivato almeno 5 minuti dopo, ho riposto accuratamente il telefono nella tasca interna della borsa. Velocemente mi sono assicurata di chiudere la cerniera esterna della borsa per evitare il mio incubo peggiore: che il telefono cada nello spazio tra il marciapiede del binario e la scaletta del treno. Ora sono tranquilla, alzo lo sguardo verso sinistra per vedere se arriva il treno e vedo tutta la gente intorno a me. Loro non telefonohanno paranoie su dove possa cadere il loro iPhone, ce l'hanno ancora in mano alcuni, altri no (forse non sono sola nelle mie angosce!). La mia attenzione cade su un ragazzo che come me non sta facendo nulla, guarda in là per vedere se arriva il treno. E in quel momento mi chiedo: ma sarebbe normale avvicinarsi a qualcuno per dirgli "ehi, anche tu qui, eh?" o qualcosa del genere per attaccare bottone. Siamo sinceri, ci guarderebbe malissimo e penserebbe che siamo dei pazzi!


E non è una questione tecnologica il fatto che non ci parliamo: è questione di riservatezza. Ne oggi ne mai nessuno si è mai avvicinato così a uno sconosciuto, maniaci a parte! Non c'erano i telefoni spaziali di oggi ma ci si isolava tranquillamente con un libro, un giornale, non guardano in faccia nessuno..


Che poi, si chiamano Smart-phone proprio perché sono intelligenti, mille applicazioni, non solo Facebook!


Nei "tempi morti" come in stazione e in treno, per staccare dallo stress dell'uni o del lavoro, si legge, si scrive a qualcuno, ci si informa vecchiotramite i giornali online.. Si fanno tantissime cose!


 Lasciateci guardare i nostri smartphone come voi guardavate le vostre punte dei piedi, amen.


 

La Partita della Morte

In molti di voi avranno visto, o almeno sentito parlare, del film “Fuga per la vittoria”, nel quale una squadra formata da una selezione di giocatori Alleati, internati in campi di lavoro durante la Seconda Guerra Mondiale, sfida una squadra sportiva di una base tedesca, dove alla fine della partita i giocatori Alleati riescono a fuggire e a conquistare la libertà. Il film è ispirato a un fatto realmente accaduto: la partita della morte. Nel 1942, mentre è in pieno svolgimento la Seconda Guerra Mondiale, dei tedeschi scoprono che tra gli internati in un campo di concentramento in Ucraina, a quell’epoca sotto occupazione tedesca, vi sono dei calciatori e, per dimostrare la superiorità della razza ariana, decidono di sfidarli. La squadra dei prigionieri ucraini, chiamata Start, era composta da: Mykola Trusevič, squadra startMychajlo Svyrydovs’kyj, Mykola Korotkych, Oleksij Klymenko, Fedir Tjutčev, Mychajlo Putystin, Ivan Kuz’menko, Makar Hončarenko, Volodymyr Balakin, Vasyl’ Sucharjev, Mychajlo Mel’nyk, Pavlo Komarov, Jurij Černeha e Petro Sotnyk, nomi che non dicono molto ma tutti giocatori professionisti che militavano nella Lokomotiv e nella Dinamo Kiev, mentre la squadra tedesca, il Flakelf, era composta da ufficiali tedeschi della Luftwaffe. Insomma, non c’era storia, lo Start era nettamente più forte e i tedeschi lo sapevano. Le squadre si sfidarono la prima volta nel luglio del 1942, quando lo Start si impose con un netto 5 a 1. I giocatori sapevano che avrebbero dovuto perdere quella partita ma entrati in campo vennero accolti da un gran numero di tifosi ucraini e decisero di giocare e vincere per il proprio popolo. Per rifarsi da questa umiliazione i tedeschi organizzarono un’altra partita il 9 agosto 1942, quella che passò alla storia come la partita della morte. giornaleInfatti il 9 agosto 1942 allo stadio Zenith di Kiev, pieno di ufficiali e poliziotti tedeschi, va in scena la rivincita. I giocatori ucraini sanno bene che devono perdere questa partita, come lo sapevano la prima volta. Però questa volta i tedeschi del Flakelf vanno in vantaggio e sembra che tutto vada come organizzato, ma lo Start non ci sta e decide di cominciare a giocare chiudendo il primo tempo in vantaggio 3 a 1. Durante l’intervallo un ufficiale tedesco va nello spogliatoio ucraino per convincerli a perdere e a non far sfigurare per la seconda volta in un mese la razza ariana, e sembra che le parole dell’ufficiale tedesco abbiano effetto: pronti via e i tedeschi pareggiano i conti sul 3 a 3, sembra andare tutto bene. Sembra. Invece l’orgoglio dei giocatori dello Start ha il sopravvento e gli ucraini tornano in vantaggio per 5 a 3. Ma l’umiliazione più grande per i tedeschi è il sesto gol, quello non segnato: Klymenko saltò tutta la squadra avversaria, portiere compreso, e una volta arrivato sulla riga di porta calcia il pallone verso il centro del campo. I giocatori dello Start sapevano già di aver siglato la propria condanna a morte ancora prima che la partita finisse e infatti di quella squadra, da li a un mese furono tutti uccisi, sopravvissero solo in due: Mychajlo Svyrydovs'kyj e Makar Hončarenko,proprio colui che con la sua doppietta monumento makaraveva portato lo Start sul 3-1. Oggi in suo onore la Dinamo Kiev ha eretto un busto con la dedica: “A uno che se lo merita”. Gli altri, eroi della patria, hanno un monumento e sono entrati nella leggenda monumento squadracome i giocatori della partita della morte. Questa è la storia di 11 eroi che nel loro piccolo si ribellarono e sconfissero il Reich.

lunedì 17 novembre 2014

I Migliori Terzini di sempre!

Si chiude con questo articolo la sezione del freaky dedicata ai migliori interpreti della fase difensiva della storia del calcio. Seguendo il famoso motto “dulcis in fundo” abbiamo deciso di chiudere il reparto arretrato con uno dei ruoli più amati qui in redazione, ma al contempo uno dei più sottovalutati del gioco del pallone: il terzino. Diciamo che i terzini sono da dividere storicamente in due grandi categorie: prima di tutto abbiamo quelli che interpretano il ruolo come si faceva prima del 1974, ovvero quelli prettamente difensivisti, e in secondo luogo quelli che hanno cercato di rivoluzionare e integrare maggiormente nel gioco di squadra questo tipo di giocatore, ovvero i così detti “esterni bassi”. Prima dei mondiali del 74, infatti, il terzino era un semplice difensore laterale, si limitava a contenere le scorribande degli esterni avversari per poi fermarsi, in fase di impostazione, sulla linea di centrocampo. Questo modo di vedere il ruolo è, molto probabilmente, il motivo principale per cui l’intera categoria è da sempre snobbata a livello di considerazione: nelle squadre dilettantistiche, infatti, ancora oggi è diffusa l’usanza di piazzare in questa posizione i difensori meno dotati, in modo da limitare alla fascia i danni che possono produrre. Con l’arrivo del calcio totale olandese, finalmente, abbiamo avuto i primi terzini che osavano oltrepassare la metà campo fino a spingersi sul fondo passando per diverse triangolazioni e sovrapposizioni coi centrocampisti: pura fantascienza fino a pochi anni prima. Col passare del tempo tale tendenza si tuttavia esasperata in alcuni casi, in cui la fase difensiva viene completamente tralasciata. Fine del predicozzo: possiamo passare ai 10 terzini più forti di sempre secondo il Freaky:imgres




  • Giuseppe Bergomi. Bandiera dell’Inter e della nazionale per 20 anni, lo zio più famoso d’Italia è passato alla storia per 3 cose: le sue doti in campo, la sua frase “andiamo a Berlino” ai mondiali 2006 e l’imbarazzantissimo monociglio che ha portato con orgoglio per gran parte della carriera. Interprete moderno del ruolo, ha saputo unire grandi doti di spinta con spiccate capacità difensive che gli hanno permesso di finire la carriera anche come centrale.

  • downloadGiacinto Facchetti. Rimaniamo in casa Inter per parlare di uno dei calciatori più corretti di sempre, probabilmente il principale precursore del ruolo come lo interpretiamo oggi. 2 Champions League in bacheca insieme a un argento ai mondiali e una vittoria agli europei (l’unica Italiana). Pochi sanno che l’europeo del 68, appunto, lo dobbiamo soprattutto a lui considerando che dopo il doppio pareggio con l’URSS in semifinale fu grazie al suo lancio della monetina che ci conquistammo la finale.images (2)

  • Ronald Koeman. Calciatore dottissimo tecnicamente e fisicamente , riusciva a interpretare tranquillamente i ruoli di libero, mediano e terzino. Uno tra i pochi olandesi fortunati  ad aver vinto qualcosa con la nazionale (l’europeo dell’88), in Italia lo odiamo particolarmente per la punizione decisiva nella finale di Champions League con cui consegnò la coppa al Barca nella finale contro la Sampdoria nel 1991.

  • download (1)Paolo Maldini. Esempio in campo e fuori, Paolino è indicato da molti come il calciatore moderno per eccellenza. Grazie alla sua infinita carriera trascorsa tutta nel Milan è riuscito a mettersi in bacheca 2 o 3 coppette: 5 Champions League, 7 campionati e un secondo posto al pallone d’oro. Da segnalare anche i campioni con cui è sceso in campo nella sua carriera: Gullit, Van Basten, Savicevic, Baggio, Shevcenko, Baresi, Albertini, Kaka e moltissimi altri. Grandiosa la sua idea di lasciare la nazionale nel 2002, giusto in tempo per saltare il mondiale 2006 in cui i suoi compagni si laureano campioni del mondo.images (3)

  • Philipp Lahm. Nato e cresciuto a Monaco di Baviera, Philipp, tanto per cambiare, gioca ininterrottamente dal 2002 ad oggi nel Bayern e nella Germania, vincendo tutto quello che si può immaginare sia con il club che con la nazionale. Non particolarmente dotato fisicamente ma in possesso di un talento cristallino Philipp ha la dote principale di aver sopportato quel rompi palle di Beckenbauer  per tutta la sua carriera senza mai cercare di colpirlo con un badile.

  • imagesMaicon. Interprete straripante del suo ruolo nell’Inter del triplete, Maicon ha saputo unire il suo talento nella spinta e nel concludere a rete con una buona sicurezza difensiva. Unica pecca nel suo palmares è la mancanza della coppa del mondo, mancata in più occasioni con suo Brasile. Noi amiamo ricordarlo per l’esultanza dopo un gol in un Siena-Inter  “Io sono forte!!”.images (5)

  • Cafù. Famoso tanto per la sua simpatia quanto per il suo talento, Cafù era il prototipo del terzino fluidificante. Ultimo capitano del Brasile ad alzare la coppa del mondo, si era imposto a livelli altissimi durante lo scudetto della Roma del 2001 anche se aveva già preso parte al mondiale del 98 e del 94. Palmares di tutto rispetto anche per lui che con il Milan riesce a portarsi a casa tutto quello che c’è da vincere con un club.

  • images (4)Gary Neville. La bellezza di 12 campionati inglesi in bacheca fanno di Neville il membro più scarso della famosa “classe del 92” del Manchester United. Nonostante le due champions in bacheca il momento più alto della sua carriera rimane, proprio durante la prima finale del 1999 vinta all’ultimo minuto, quando rimane (unico tra i suoi compagni) a difendere fuori dall’area avversaria nonostante anche il portiere Peter Schmeichel fosse salito a saltare di testa.

  • Roberto Carlos. Cacciato da un lungimirante Moratti dall’Inter per fare spazio a un giovane edownload (2) promettente Sforza, Carlos si mette in luce per la sua corsa e la potenza del suo sinistro. Dal 96 al 2007 è una certezza del Real Madrid dei Galacticos e del Brasile con cui porta a casa rispettivamente 3 Champions league e un Mondiale. Esaltante anche l’avventura all’Anzi in Russia dove, nonostante lo squadrone allestito, riuscirono a centrare solo un paio di qualificazioni in Uefa e tanti tanti insulti.

  • images (1)Andreas Brehme. Forte di una carriera giocata ad altissimi livelli tra Inter, Bayern e Kaiserslautern, condita da un titolo mondiale con la Germania e una coppa Uefa con l’Inter, Brehme si riduce a pulire i bagni per ripagare i numerosi debiti contratti proprio quest’anno. Bizzarro constatare che questo posto di lavoro gli sia stato trovato da quel simpaticone di Beckenbauer, intenzionato ad aiutarlo una volta tanto: eh si, a volte si rivela essere un tenerone.

venerdì 14 novembre 2014

Royal Blood! (7/10)

In questo periodo risulta facile parlare di rock. Il 2014 è stato un anno che, nel bene o nel male, ci ha portato parecchio materiale, come ad esempio l'ultimo progetto da solista di Jack White o il nuovo disco regalimgresato al mondo (al mondo apple) dagli U2. Ma l'attenzione del Freaky, per oggi, si sofferma su un nuovo duo rock che è riuscito in un annetto scarso ad imporsi a tutto il mondo dal punto di vista commerciale, raggiungendo i primi posti delle classifiche rock sia dell'oltremanica che dell'oltreoceano.
I Royal Blood nascono l'anno scorso a Worthing, paesino nel East-Sussex, a pochi km dalla famosa Brighton. La formazione è semplice, due ragazzi si sono incontrati ad inizio 2012, hanno cominciato a suonare insieme capendo che il loro gusto minimale avrebbe potuto evolversi e funzionare senza bisogno di ulteriori decorazioni. Così troviamo due soli elementi di melodia (la batteria di Ben Tatcher e l'astuto basso di Mike Kerr) accompagnati dal vocal sempre affidato a Kerr. I generi di cui i Royal Blood si occupano in questo primo album sono parecchi, creano un surrogato di alternative che varia da un garage che sà di post-grunge (in "Figure it out" o "Come on Over") all'indie a tinte blues (in Loose Change"" o "Blood Hands") senza mai abbandonare quella prepotenza melodica che, a turno, viene guidata dalla batteria, dal basso o (sporadicamente) dalla voce. Quei riff orecchiabili e trascinanti che sembrano usciti da chitarrone insanguinate sono in realtà prodotto di una trovata di Kerr che spiega :"Il suono è quello di un basso passato attraverso alcuni diversi amplificatori con alcuni pedali, è tutto. Non è mai una decisione fare le cose in questo modo, ma ha funzionato per noi." Ha funzionato eccome, perchè con questo semplice escamotage i Royal Blood prendono due piccioni con una fava, superando le difficoltà che possono emergere con l'assenza di una chitarra solista e creando una sonorità distintiva che li rende facilmente riconoscibili.
Così, dopo un anno passato nell'underground con disarmante senso degli affari a pubblicizzare da veterani i propri ep , l'album è pronto a essere giudicato, tra il fermento dei loro primi fan e le perplessità di quella critica che non vede mai di buon occhio chi riesce a "vendersi" tanto bene e tanto in fretta.imgres
La prima track sembra spazzare via qualche dubbio, "Out of the Black" è sicuramente una perla d'aria fresca, dove la batteria la fa da padrone, poi la progressione e gli apprezzabili stop'n go, accompagnati da un inquietante ed energico cantato, fanno il resto, rendendo la canzone di apertura (nonchè loro primo singolo pubblicato) la bandiera dei Royal Blood. Si prosegue con il piacevole riff di "Come on Over" (che sembra qualcosa di già sentito tra la fine dei 90 e l'inizio dei 2000) e la sapienza radiofonica di "Figure it Out" (splendido il videoclip) che cerca di rendere il più vendibile possibile lo stile Royal Blood abbellendolo comunque con un esplosivo assolo finale. La quarta traccia è la spassionata e leggera (rispetto al trand stoner che ha l'album) "You can Be So Cruel" seguita da un'altra perla come "Blood Hands", diversa dalle canzoni per cui abbiamo apprezzato per ora il duo di Brighton. Il pezzo forse più sperimentale è un conflitto tra la melodicia parte iniziale e finale e le tenaci urla di voce e batteria quando il ritmo esplode nel mezzo, ricreando un equilibrio degno dei più grandi. "Little monster" è qualcosa a cui ci eravamo decisamente preparati ascoltando l'inizio dell'album, ma forse non ci aspettavamo che arrivasse con tanta efficacia. Un riff dirompente, orecchiabile, trascinante (il migliore dell'album) e una voce portata al massimo dei decibel fanno di "Little monster" la canzone più facile da apprezzare. "Loose Change" sembra un omaggio agli White Stripes, oltre che per il riff e il ritmo bipolare anche per lo sforzo che Kerr relega alla sua ugola, nel tentativo di emulare il buon vecchio Jack. "Careless", invece, un omaggio a Queens of the stone age (le cui sonorità sono comunque sempre preseni in qualche modo nel disco), che crea comunque un alternative primitivo ma quasi romantico.
Per "Ten Tonne Skeleton" vale lo stesso discorso fatto per "Figure it out", pubblicato con sapienza radiofonica (è il primo loro singolo ad aver raggiunto i vertici delle classifiche europee), lo stoner rock del pezzo riesce a reggere per gran parte della canzone perdendosi lo stesso, inevitabilmente, in qualcosa che alla fine (o ad un secondo ascolto dipende) annoia. L'album si chiude con la bella "Better Strangers", quasi una "ballata" alla Royal Blood, energica ma romantica, ritmo cadenzato che rende affascinante anche questa traccia a un primo impatto distonica.
imgresArrivati in fondo le sensazoni sono buone, ma non eccezionali. Chiaramente il disco pecca di varietà e a tratti di originalità, lasciandoti in bocca un sapore di qualcosa che hai già assaggiato, forse tanto tempo fa, ma di cui non capisci bene l'obiettivo. I Royal Blood vanno oltre il puro e semplice hard rock pur offrire uno stile innovativo, cercando di sintetizzare nella ruvidezza del loro sound tutti i grandi momenti del rock alternativa (senza disprezzare espedienti pop di cui comunque sono appassionati), facendo anche musica che colpisce, ma che non entra mai nel profondo. Il grande merito, stando a oggi, che hanno i ragazzi di Brighton è proprio quello di aver dato risonanza commerciale ad un sound che era stato accantonato alla fine degli anni 90, rispolverandolo e rendendolo proprio. Che non siano un fuoco di paglia ne sono convinto, così come sono convinto che il loro futuro, comunque, non sarà nell'olimpo del rock. Il disco rimane più che positivo e noi auguriamo buona fortuna ai Royal Blood.

giovedì 13 novembre 2014

I 5 motivi per cui anche tu odi whatsapp (e il genere umano)

In un’epoca, quella odierna, in cui comunicare diventa allo stesso tempo più facile e infinitamente più difficile arriva whatsapp a darci qualche garanzia. La garanzia, una su tutte, è quella di non dover più pagare gli SMS, che ci interessa poco ormai, associata al fatto che in fondo odiamo un po’ tutto il genere umano appena visualizza ma non risponde ai nostri messaggi. Vero odio amici Freakettoni, secondo solo all’astio che proviamo verso lo stesso whatssapp. Ecco, dunque,  i  5 motivi per cui tutti noi odiamo whatsapp:




  • Orario dell’ultimo accesso. Da sempre all’interno delle conversazioni con i nostri contatti sulla app possiamo vedere il loro ultimo accesso e in questo modo, confrontandolo con quello in cui abbiamo spedito loro l’ultimo messaggio senza risposta, capire se non si connettono da un po’ o l’hanno visto ma si rifiutano di rispondere. Niente più scuse del tipo:”mah guarda…io non ho ricevuto niente” oppure:“ è solo che non guardo il cellulare da un po’”. In sostanza un motivo in più per odiare l’umanità e distruggere amicizie decennali.imgres

  • Doppia spunta blu. Come già detto, siamo in grado da sempre di capire se il nostro contatto in chat se ne sbatte di quello che abbiamo da dirgli o meno, tuttavia gli sviluppatori di whatsapp (che possiamo identificare negli stessi di Facebook) sono decisamente sadici e hanno pensato bene di rendere la cosa ancora più palese: quando a fianco all’ultimo messaggio spedito si accendono due spunte blu allora non serve più confrontare orari o altro per essere certi della lettura. Insomma, già molte autostime erano crollate, ora il tasso di suicidi si è impennato del 400%.

  • Francesco Sole. Ogni volta che esce un piccolo aggiornamento della app il buon vecchio Francesco Sole ci tormenta con le sue turbe psichiche riguardo chi ignora i suoi messaggi  attaccando quintali di post it in giro per casa. Che whatsapp e il Franci si siano messi d’accordo? Sul romperci le palle di sicuro.

  • images (1)I gruppi. Il 90% degli utenti di whatsapp pensa che creare gruppi come ad esempio “quelli del celcetto”  o “quelli dell’uni” sia la cosa più utile dell’universo:”certo!così evitiamo di scriverci tutti in privato e poi doverci riferire le cose!” direte voi. Forse avete ragione, se non fosse per il fatto che appena viene posta una domanda su un gruppo prima che qualcuno si prenda la briga di rispondere passano tranquillamente dalle 20 alle 30 ore. E questo perché se la domanda è posta “al gruppo” allora nessuno si sente chiamato in causa personalmente e tutti attendono che il primo coraggioso risponda per primo. Che poi la prima risposta di solito sono foto porno o battute condite da bestemmie. Tutto ciò porta a decine di risposte come: “ahahahah!” oppure “non si può!”  che non vogliono dire altro che decine di notifiche rumorose che ti martellano il cervello attraverso la suoneria. E pensare che sono gruppi di amici…li odi già tutti non è vero?!images

  •  Foto dei contatti. Diciamoci la verità: finchè ci limitavamo ad utilizzare social network come facebook o twitter ci si imbatteva quasi esclusivamente in giovani e si finiva per attribuire proprio all’età certe foto imbarazzanti o certi stati pietosi. Oggi, grazie a whatsapp, sei benissimo in grado di vedere quando tuo zio di quarto grado decide di impostare come propria immagine di profilo una sua foto con tanto di canottiera sporca di sugo o quando, invece, preferisce mutare il suo status da “in riunione” in “al cesso”. Insomma, se anche a te, nonostante tutto, era rimasto un briciolo di rispetto per le persone più vecchie: beh grazie a whatsapp ora hai perso anche quello!


 

mercoledì 12 novembre 2014

The Believer, il nulla senza fine (voto 7/10)

La rubrica cinema riparte da "The Believer", pretenzioso film del lontano 2001 che, nonostante non si permetta mai di scavare nel profondo delle convinzioni nè dell'una nè dell'altra parte prese in esame, riesce con arroganza a scuotere le coscienze.download


Dopo ciò che è successo in Germania nel periodo nazista, film sull'olocausto ce ne sono stati parecchi, sono stati rappresentati i modi di vivere quelle mostruosità sia dal punto di vista ebreo che dal punto di vista tedesco ma in pochi prima di Henry Bean, regista esordiente del film, si erano occupati di analizzare l'ideologia, le pulsioni e le contraddizioni che movimenti, come quello nazi, o religioni, come quella giudaica, portano in sè. La pericolosità del film sta appunto in questo originale atto di coraggio; ispirato alla storia vera di Dan Burros, attivista dell'American Nazi Party ma di origine ed educazione ebraica, "The Believer" si distacca dal cinema tradizionale con l'intenzione di mostrarci obiettivamente cos'è che fa breccia nella testa di un uomo radicandosi a tal punto da non lasciare nessuno spazio per la serenità.


Danny Blint (Ryan Gosling) vuole diventare un pezzo grosso del movimento e la strada che è convinto di dover percorrere è quella dell'antisemitismo. Gli ebrei, infatti, sono la malattia della civiltà occidentale; la loro fissa per l'astrazione gli rende maniaci megalomani, la Torah seduce gli ebrei e poi lì comanda a bacchetta proprio come anni prima faceva il Mein Kampf, creano clan chiusi e impenetrabili per poi insinuarsi in ambienti a loro ostili e renderli ospitali e fruttuosi. Durante tutto il film saranno ricorrenti flashback che ci mostrano un giovanissimo Dan alla scuola ebraica, mentre discute con il maestro sottolineando le contraddizioni che le fede giudaica implica (soprattutto discutendo dell'episodio di Abramo che sacrifica Isacco); Dio te lo fa capire col dolore estremo, Io sono tutto e tu sei niente, non c'è nient'altro di importante. Le discussioni col maestro lo portano a lasciare sia la scuola che l'ebraismo. Nel tempo presesente la fama di Dan continua a crescere, la chiarezza espositiva e le doti oratorie da arringatore fanno di lui un personaggio quasi stimato, tanto che un giornalista del NY Times vuole un'intervista. Il giornalista però sà del passato di Dan che, come controrisposta, tira fuori una pistola e minaccia il suicidio se la notizia fosse stata rivelata.


imagesDopo una rissa in un ristorante ebreo Dan e suoi amici sono condannati al servizio sociale e si ritrovano ad ascoltare ebrei reduci di guerra. Uno di questi racconta di come un ufficiale tedesco, senza pietà, trafisse con la baionetta il suo bambino, lasciando che il sangue colasse in faccia al genitore. Qui Dan, come se non riuscisse più a trattenersi, critica schifato il comportamento dell'ebreo che secondo lui, piuttosto, avrebbe dovuto morire. Dan decide di lasciare la seduta indignato concludendo con prepotenza che "voi avete molto da imparare da noi [...] Uccidi il tuo nemico". Da quel momento Danny più volte ha la visione della scena descritta da reduce, prima vedendosi nella parte del soldato poi in quella del padre che muore per salvare il figlio. Dan è ricco di idee ambiziose ma riesce a imporsi solo da un punto di vista retorico visto che qualsiasi tentativo di attentato, organizzati con un gruppo di nazziskin antisemiti, fallisce. La figlia di una delle donne di spicco dell ANP si invaghisce di Danny, dell'ideologia e della sua intelligenza ma scopre,in qualche modo e senza mai esplicitarlo, del passato di Danny, e decide di prendere lezioni di ebraico per "conoscere a fondo il nemico". Questo non fa altro che riavvicinare Danny ad una cultura e ad un infanzia dimenticata, facendo riaffiorare dubbi e conflitti che rendono Danny non sono debole, ma tanto debole da non essere sano. Le sequenze finali sono un crescendo di inquietudine e confusione: Dan arriva a sostenere, in un discorso privato dedicato all'"aristocrazia nazista", che l'unico modo per sconfiggere un popolo che si rafforza cosi tanto con l'odio è l'amore. "Ma l'ebreo è troppo furbo, capirebbe l'inganno. Per annientarlo dobbiamo amarlo sinceramente." Danny è cacciato dal movimento, piazza una bomba in una sinagoga ma il giorno seguente crolla emotivamente, irrompe nella sinagoga, la fa evacuare e rimane lì, in attesa di quel "Nulla senza fine" che la sua formazione vede come unico inevitabile punto d'arrivo della vita. Così, nell'azzeccata scena di chiusura, un giovane Danny, si ritrova a salire delle scale, e poi salire ancora, e ancora mentre ad ogni piano il suo maestro gli rammenta: "Fermati Danny. Non troverai nulla là sopra".


Per la pesantezza dei temi trattati il film rischiava di fallire, di rendere il ritmo lento fino all'insostenibile, fino alla noia, ma grazie al imgresdirector Bean, di professione sceneggiatore, lo spettatore riuscirà a seguire facilmente la trama restando a tratti affascinato dal dualismo bipolare di Danny: antisemita forte e convinto, arrogante e intelligente, in contrasto con il Danny smarrito e insicuro, affezionato all'infanzia, alla genuinità e all'ingenuità che il mondo gli ha portato via.


Che Bean sia uno sceneggiatore più che un regista, lo si evince bene dall'andazzo del film. Inquadrature mobili e soffocanti che tendono ad infastidire insolentemente chi guarda e la scenografia spoglia, aspra e quasi ingiallita per accompagnare sapientemente quei dialoghi, veri e propri pugni narrativi, sganciati in faccia allo spettatore. Ciò che fa funzionare "The Believer" è soprattutto questo, i dialoghi vivi e ricchi di contenuto ideologico, quasi sempre sputati fuori come getti di fuoco che si sostituiscono alle armi, quando la guerra rimane nell'ambito dell'ideologia.


La prova di Gosling non è niente male, asciutto, diretto e denudato da ogni maschera emotiva fa diventare Danny  perfetto per essere prima odiato e poi compreso dal pubblico, che alla fine avrà capito di non avere a che fare con un mostro mandato dal demonio per sopprimere "l'assioma della civiltà", ma solo con un pazzo, isterico e bipolare:


"Perchè li odiamo? Perchè li odiamo, perchè esistono, perchè sono l'assioma della civiltà, non c'è una ragione, perchè se anche la trovassimo arriverebbe qualche cervellone ebreo a dimostrarci che abbiamo torto, perchè è l'unica parola che puoi ripetere un milione di volte senza che perda mai di significato. Ebreo, ebreo, ebreo, ebreo, ebreo, ebreo[...]".