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lunedì 24 febbraio 2014

Back to Serie A

Oggi vogliamo tornare a commentare una serie A che, anche senza il consenso della redazione del freaky, continua a stupire. L'avevamo predetto noi a inizio stagione che quest'anno avremmo visto un campionato diverso dagli ultimi, con una qualità generale superiore ed è quello che abbiamo avuto. Come hanno dimostrato le coppe europee però si è ancora lontani dai livelli del top calcio mondiale ma ciò che possiamo dire è che il calcio italiano è sulla strada giusta, l'unica strada possibile; In questo periodo di difficile competitività economica la maggior parte delle nostre società, senza la possibilità di sacrificare enormi capitali per il calcio, hanno scelto la strada del gioco, degli investimenti e della progettazione. Non è difficile capire che in un calcio che non si può più permettere nè di comprare giocatori del calibro di Ronaldo o Ribery nè di trattenerli (nel fortunato caso dovessero maturare nel nostro paese), diventino fondamentali i settori giovanili e ancor di più le figure degli allenatori.

[caption id="attachment_460" align="alignright" width="208"]Benitez, un vero "asso di coppe" Benitez, un vero "asso di coppe"[/caption]

Perchè sono convinto che quest'anno ci sia una maggiore qualità rispetto ai campionati scorsi? Beh, nonostante da una ventina d'anni si premi la vittoria con 3 punti e non più con 2, nel nostro campionato è rimasta impressa una forte tradizione difensivista, quella che il mondo ci invidia, che invece di far giocare una squadra per vincere la fa giocare per non perdere e che in periodi di scarsa qualità tecnica come questo può rappresentare un limite per il nostro calcio. Ecco che le società devono raccogliere un pò di coraggio e puntare su manager che hanno l'obiettivo tattico di offendere, di creare gioco per fare gol, abituando il nostro calcio ad essere un pò più europeo. Quindi ecco inserirsi nella serie A una sfilza di tecnici preparati e ambiziosi, più o meno giovani ma con lo stesso obiettivo di trasmettere una dimensione più offensiva al calcio italiano. Gli esempi più lampanti e di maggior successo di quest'anno sono quelli della Roma di Garcià e del Napoli di Benitez. Il tecnico giallorosso si è prima preoccupato di ridare solidità e affidiblità ad una difesa disastrata dalle gestioni precedenti e poi ha messo il suo timbro in un 4-3-3 di esplosività e tecnica adatto sia alle ripartenze (di cui la Roma si è nutrita nel primo scorcio di stagione) sia al forcing offensivo manovrato. Qualsiasi estimatore di calcio è rimasto stupito per la sua conoscenza calcistica e la capacità di ribaltare in pochi mesi una situazione ai limiti del drammatico, trasformando l'odio profondo dei tifosi nei confronti della società in amore e approvazione. Un lavoro paragonabile a quello fatto da Conte nel 2011 alla Juventus ( e aggiungiamo pure che Garcià ha qualche punto in più in classifica). Benitez e il suo calcio non hanno certo bisogno di essere presentati. Il tecnico iberico dopo la sfortunata esperienza all'Inter dov'è stato costretto ad andaresene da incompreso, ci riprova con l'Italia. Uno che arriva sistematicamente in semifinale di champions, che vince una finale e che ne perde un'altra, che arriva da un'europa league appena messa in bacheca, non può che essere un fenomeno da non sottovalutare. Con il Napoli ha stupito in champions dove solo la spietata matematica l'ha eliminata, dopo che, a livello di punti, gli azzurri hanno tenuto testa a due corrazzate europee come Arsenal e Dortmund. In campionato propone la sua filosofia, crede nei propri mezzi e non si adatta all'avversario ma cerca sempre di fare la partita peccando forse solo di superbia (peccato comunque necessario se vuoi essere una grande squadra). Secondo me a fine anno saremo qui a commentare un campionato con moltissimi gol complessivi all'attivo. Per dare un pò i numeri faccio presente che l'anno dello scudetto del milan furono segnati 955 gol, l'anno dopo (quello della prima Juve di Conte) 972 e ben 1003 (2,67 di media a partita) l'anno scorso. A metà Febbraio, quest'anno, siamo a 656 e la media si è alzata a 2,74. Giusto per far capire che qui al Freaky le cose mica ce le inventiamo, siamo spietatamente matematici anche noi!

[caption id="attachment_459" align="alignleft" width="300"]Quel bel mascellone di Rudi Garcia Quel bel mascellone di Rudi Garcia[/caption]

Ma non ci sono solo le prime in classifica a proporre tattiche e mentalità offensive ed è per quello che vedo la serie A nettamente risollevata. C'è il ritorno di Mandolrlini in serie, che col suo Verona sta facendo cose incredibili; in una piazza che a livello di calore non ha nulla da invidiare alle big europee Mandolrini cerca di soddisfare le ambizioni di una società che nei prossimi anni vuole fortemente far tornare grande questa squadra. Il primo passo già fatto è stato la conquista della serie a ma nessuno poteva prevedere che già quest'anno il Verona avrebbe avuto le carte in regola per giocarsela per l'Europa. Tutto merito di gioco e mentalità, con una fase difensiva sicuramente discutibile (Rafael è il portiere più impegnato della serie a in termini di tiri subiti) ma con una mole e un intensità offensiva che fanno invidia. Subito dopo Mandorlini vanno elogiat Donadoni e Ventura, 2 che da parecchi anni stanno lavorando sodo con i loro club e che finalmente vedono ripagate le proprie fatiche da una classifica soddisfacente. Oltre all'organizzazione tattica e propensione offensiva che entrambi i tecnici hanno sempre proposto con le loro squadre, quest'anno il salto di qualità che ti permette di essere un paio di posizioni più avanti in classifica è sicuramente dovuto alla qualità e alla crescita della rosa. Perchè per quanto un allenatore possa essere bravo poi bisogna far i conti con i giocatori, e se non hai i fenomeni non vai granchè lontano. Complimenti anche alla Samp di Mihahilovic, a mio parere uno dei tecnici rivelazione che se continua con questa mentalità avrà grande futuro;complimenti agli sfortunati Di Francesco e Pektovic (altri due che vanno via da incompresi), senza tralasciare la conferma di Montella, rivelzaione dell'anno scorso che prosegue la sua maturazione se pur perseguitato dalla sfortuna, visto che ha dovuto affrontare tutta l'annata col potenziale d'attacco dimezzato. Ed infine il capolista, che con la rabbia di un indiavolato riesce anche quest'anno ad ottenere il massimo sforzo psicofisico dei suoi ragazzi, giocatori che sembrano diventati macchine da vittoria, concentrati 90 minuti e con un agonismo e un aggressività disarmante da dar fastidio, che (per come la vedo io) solo per una mancanza di fiducia a livello internazionale non è riuscita a passare il turno in Champions (e mettiamoci anche un pò di sfortuna). Forse non se l'aspettava neanche lo stesso Conte che la squadra in champions divenisse meno coraggiosa, un pò priva di quella rabbia caratteristica. Ecco perchè diventa di primaria importanza l'esperienza in Europa League. Prima di tutto la Juve è probabilmente la squadra più forte della competizione e secondo arrivare in fondo può dare a tutto l'ambiente quella fiducia a livello internazionale che evidentemente manca da troppo tempo (è una decina d'anni che la Juve non era così forte).download (1)

Per ora il campo premia lui come mister dell'anno, ma anche fuori dal campo si fa notare continuamente in stile mourinhano. Commovente il gesto nei confonti di Giovinco a cui ha assistito lo Juventus stadium durante la partita con il chievo e molto divertente la polemica accesa con Capello che dice che il campionato italiano è poco stimolante per questo la juve va male in champions. Personalmente sono d'accordo con la prima parte del concetto ma il permalosone Conte non c'ha visto più rischiando stavolta di uscire dal seminato. L'unica cosa intelligente di questo dibattito arriva,com'era prevedibile, da uno degli uomini di sport ormai più amati in Italia e nel mondo, Lucianone Moggi, che spiega come Conte, trascinato dalla solita rabbia, ha detto cose con le quali non aveva intenzione di offendere la Juventus, ma solo ribadirsi migliore di Capello, aggiungendo comunque che la società dovrebbe prendere precauzioni.

"Se c'ero io certe dichiarazioni non le pemettevo". E con Moggi che non ha perso quindi il vizio di voler tenere le mani in pasta chiudiamo.

 

 

 

 

sabato 22 febbraio 2014

Addio Philip Seymour Hoffman, addio vostra maestà!

L'ennesimo appuntamento per il cinema lo dedichiamo all'omaggio di un attore prematuramente scomparso; all'età di 46 anni, la settimana scorsa, è infatti venuto a mancare un artista piuttosto stimato anche qui alla redazione del freaky. Philip Seymour Hoffman è stato trovato morto nel suo appartamento a New York, la città nella quale era nato e alla quale è sempre stato legato. Un'attore indiscutibilmente universale, partito dal cinema indipendente e maturato con il fortunato salto ad Hollywood, dove ha dato vita a personaggi difficilmente disprezzabili come il leggendario "Conte" di "I Love Radio Rock", o "Truman Capote", l'interpretazione che gli valse il riconoscimento dell'oscar. Per

[caption id="attachment_453" align="alignright" width="197"]eccolo con il sio Oscar eccolo con il sio Oscar[/caption]

omaggiarlo potremmo andare a recensire uno quaslsiasi dei suoi grandi lavori da protagonista come "Il Dubbio", il film del prete pedofilo, stando qui a sparare illazioni e sentenze su un bersaglio facile e indifeso come la chiesa cattolica; Oltretutto il Vaticano ci ha già cucito la bocca con fior di quattrini e noi qui al freaky siamo gente di sani pincipi. Il film scelto è uno degli ultimi del suo repertorio, The Master, del 2012, film canditato all'oscar diretto dal giovane Paul Thomas Anderson (lo stesso fortunato regista de "Il Petroliere").

Siamo nell'America del dopo seconda guerra mondiale, e un reduce afflitto da svariati problemi nevrotici fatica a reinserirsi in una società in continuo progresso. Freddie Quell ha un'ossessione psicotica per tutto ciò che è sessuale, è un alcolista e un nullatenente. Dopo l'ennesima notte di eccesso e alcol Freddie si ritrova su un'imbarcazione dove viene accolto da quella che sembra essere una calda famiglia allargata. Freddie si accorge presto di essersi unito ad una comunità pseudo spirituale guidata da un leader tanto visionario quanto carismatico, Lancaster Dodd (il compianto Philip Seymour). La relazione tra i due assume una certa complicità. Dodd racconta a Freddie della "Causa", del mondo che essa propone e lo inizia ad un introspezione spirituale tutta particolare, che tuttavia sembra giovare. Freddie, pur non comprendendo chiaramente i valori, gli obiettivi e i valori della setta, si convince a seguirla e a cercare una strada per una redenzione individuale. Ma non è così semplice, il suo problema con l'alcol non si risolve, si mette in imbarazzo con le signore e come conseguenza non riesce a guadagnarsi l'accettazione degli altri adepti. Intanto la setta si trova di fronte ad un ondata di sdegno dell'opinione pubblica, che preferisce la scienza e la tecnologia alle dottrine mistiche-spirituali proposte da Dodd. La setta vive un momento difficile, Freddie non regge e abbandona i suoi progetti. Ma ritrova presto la strada per "La Causa", e dopo un toccante dialogo con Dodd, Freddie sembra riuscire a comprendere il perchè di tutte le sue sventure, decide di rimanere. Forse è inaspettato, ma poco dopo, pur avendo la possibilità di rimanere, Freddie se ne va, abbandonando per sempre Dodd e la causa.

[caption id="attachment_455" align="alignleft" width="280"]il leggendario "Conte" di I love rario rock il leggendario "Conte" di I love rario rock[/caption]

Un film che vanta di un cast di grandi artisti, oltre che grandi attori. Joaquin Phoenix in stato di grazia, emotivamente esplosivo e capace di impersonificare tutto il disagio di un reduce inquieto, paragonabile in qualche modo al De Niro di Taxi Driver. Diversamente da quest'ultimo però, Freddie ha l'opportunità anche solo illusoria di una redenzione spirituale. Redenzione che non riesce a perseguire perchè i demoni dentro di lui sembrano fare di tutto per impedirglielo. Un individuo affondato in una società che non può fare nulla per ritirarlo in superficie. Dall'altra parte, in opposizione a tale disagio abbiamo la sicurezza di un leader spirituale, con risposte ferme, veloci, persuasive e apparentemente olistiche. Non dev'essere stato facile, ma Philip Seymour è riuscito a regalare un'anima anche a questo personaggio, comprensivo e autoritario, un padre e un amico, un salvatore e un mentore.

[caption id="attachment_456" align="alignright" width="299"]ci piace ricordarlo anche come l'amico "svitato" di Ben Stiller in E alla fine arriva Polly ci piace ricordarlo anche come l'amico "svitato" di Ben Stiller in E alla fine arriva Polly[/caption]

L'ultimo grande lavoro con Hoffman, insomma, è un cocktail di emozioni dalla trama lineare e dal ritmo lento condita  da interpretazioni che, non a caso, valgono le candidature all'oscar sia per Phoenix che per il vecchio amato Philip.

giovedì 20 febbraio 2014

Stephen King garantisce:"E' Blood Story il miglior horror degli ultimi 20 anni!"...e se lo dice lui! (6,5/10)

Nonostante la produzione del freaky stia arrancando in quest ultimo periodo, provocando comprensibilmente sconforto e smarrimento negli affezionati lettori, noi siamo ancora qui a pensare come riempire queste pagine gialle. Quindi abbandoniamo lo sconforto e lo smarrimento e con grande gioia facciamo spazio alla paura e all’inquietudine che solo una recensione su un thriller\horror, definito da un certo Stephen King “il miglior horror degli ultimi vent’anni”, ci può regalare. Ma accantonando completamente le opinioni del giallista americano il freaky, dal canto suo, descrive blood story come uno dei migliori horror degli ultimi vent’anni, un po’ perché la conoscenza di questo campo rimane a noi limitata, un po’ perché per una volta una sceneggiatura horror è riuscita ad aggiungere all’intrigante trama un’efficace rappresentazione delle personalità dei protagonisti,  l’elemento che fa fare un relativo salto di qualità alla pellicola.

[caption id="attachment_449" align="alignright" width="228"]Il grande Stephen King. Bravo e..."bello" Il grande Stephen King. Bravo e..."bello"[/caption]

Il film, diretto  Matt Reeves, deve probabilmente quest’approfondimento psicologico al romanzo da cui è tratto, il best-seller svedese “Lasciami Entrare”, di John Lindqvist (lo stephen king scandinavo per la cronaca).

La storia si svolge durante un’inverno come un altro nel New Mexico degli anni ’80 e il protagonista è un ragazzino dodicenne solo e nel pieno di una crisi pre-adoloescienziale, dovuta all’imminente divorzio dei genitori. Un ragazzino di nome Owen, che attira l’attenzione per l’elevato numero di turbamenti psicologici che mostra allo spettatore; è isolato,non curato dalla madre farmacomane,  vittima preferita di bulli esagitati, e come se non bastasse ha una maniacale passione per gelatine e caramelle. Quando tutto sembra destinato a rimanere immutato nella casa accanto a quella di Owen si trasferisce una ragazzina, accompagnata dal padre, sporca e scalza, che sembra addirittura avere più problemi di lui. Owen conosce così la misteriosa Abby, e reciprocamente l’uno invade lo spazio della solitudine dell’altro facendo in modo che nasca un’amicizia utile a entrambi. Abby spezza il ritmo della tremenda e macabra routine a cui è sottoposta e Owen risece a trovare una voglia di vivere e un coraggio che forse neanche lui credeva di avere. L’amicizia sfocia presto in un amore tanto ingenuo quanto dolce ma il sanguinolento problema di Abby, che pian piano emerge e che Owen impara a conoscere, sembra frapporsi tra loro. Abby perde quello che sembrava essere suo padre ed è costretta a trasferirsi dopo un doloroso addio ad Owen. Un finale interessante ma non del tutto inaspettato lascierà comunque qualsiasi tipo di spettatore soddisfatto.images

Ciò che distacca il film dalla tradizione horror americana è la presenza di svariati temi sociali e individuali che offrono svariati spunti allo spettatore che si trova costretto a convivere col disagio dei personaggi fino a comprenderlo e a commiserarlo. Il feroce bullismo di cui è vittima Owen, le difficoltà nella vita e nelle relazioni di Abby e quant’altro, spariscono quando i due stanno insieme, poiche i due si completano e sono capace di suscitare approvazione. Grande merito di tutto ciò è da dare agli attori e alla loro guida Matt Reeves (che per il resto non si è preso grandi responsabilità artistiche).

Un’interpretazione difficile e sorprendentemente coinvolgente quella di due bimbi-prodigio di Hollywood. Owen è interpretato da Kodi Smit-McPhee che gia nel 2006, all’età di dieci anni, faceva il suo esordio sul grande schermo.  Grazie alla grande sintonia col regista Matt Reeves che l’ha preso sotto la sua ala Kido interpreta Owen da veterano, riuscendo a sucitare grande tensione e a renderci partecipi nella sinergia che si va a creare con la dolce e fatale Abby. Una fatale Abby interpretata da un’attrice ancora più prodigiosa. Chloe Grace Moretz nata nel 1997, all’età di 16 anni vanta nel suo curriculum un paio di ruoli da protagonista di horror, il successo popolare del personaggio di Hit-girl nel film “Kick ass”, e la partecipazione a lavori di grandi maestri come “Hugo Cabret” di un certo Scorsese e “Dark Shadows” (ultima sfortunata pellicola dell’amico Tim Burton), dimostrando download (1)addirittura di saper reinventare il proprio personaggio in altri generi, caratteristica sicuramente da potenziale grande attrice.

venerdì 7 febbraio 2014

Smiths are not dead

Dopo un mese intenso e pieno di impegni qui al Freaky Times si torna al lavoro parlando di quella che è stata, senza dubbio, una band di culto (per quanto controversa): gli Smiths!

Siamo all’inizio degli anni 80 quando avviene lo storico incontro  che darà vita alla storia che vogliamo raccontarvi. Nella periferia di Manchester si incontrano Johnny Marr,  e Morrisey. Il primo è un giovane chitarrista dai gusti musicali ricercati: band come i T-Rex, i images (2)New York Dolls e i Byrds sono parte integrante della sua collezione discografica. Oltre alla raffinatezza musicale Johnny possiede anche quella nel look e nel modo di comportarsi: un vero e proprio dandy. Al talento per la musica il giovane Marr affianca anche quello per il calcio, cosa che in una città come Manchester non guasta mai, tuttavia pur avendo sostento un fortunato provino con il City decide di non intraprendere la carriera sportiva dando la seguente motivazione: “ero probabilmente  l’unico giocatore a usare l’eyeliner”. Probabilmente poi la scielta si rivelerà azzeccata per molti versi: il successo con gli Smiths è stato certamente preferibile alle prese in giro dei compagni di squadra. Morrisey, più vecchio di Marr di quattro anni, è invece un introverso ragazzotto che alle uscite con gli amici preferisce di gran lunga leggere le opere di Oscar Wilde in solitudine nella sua camera. I gusti musicali del giovane coincidono perfettamente con quelli dell’amico: l’intesa tra i due è quindi immediata viste anche le capacità canore di Morrisey. Ai riff o ai giri di accordi melodici e a tratti tristi di Marr si sposano perfettamente  i testi dell’amico e cantante. La sua voce sembra a tratti non seguire minimamente le linee di basso o gli accordi di chitarra, quanto piuttosto andare a formare uno strumento a sé che si inserisce alla perfezione in quell’alchimia musicale della band. Non è Morrisey a scrivere i testi sulle musiche di Marr, ma piuttosto quest’ultimo ad adattare ai testi i suoi arrangiamenti.

[caption id="attachment_439" align="alignleft" width="278"]Morrisey Morrisey[/caption]

La formazione comprende chitarra, basso, batteria e voce: niente di speciale nel panorama rock. Ascoltando il sound del gruppo, tuttavia, si entra in contatto con qualcosa di totalmente nuovo e mai sentito prima. Dal punto di vista dell’immagine la band è irresistibile per i fan: l’abbigliamento e le movenze di Morrisey sul palco vengono imitate dai giovani di tutto il mondo che lo elevano a loro guida spirituale. Dall’uscita del loro singolo di debutto  Hand in Glove nell’83 scoppia una sorta di “smiths-mania” che durerà anni. Pur non raggiungendo costantemente la numero 1 gli Smiths sanno imporsi nel panorama inglese piazzando diversi singoli nella top 20 tra band di tutto rispetto come Spandau Ballet, Duran Duran e Depeche Mode. I testi trattano tematiche diversissime tra loro: si parte dalla più classica canzone d’amore a quella più politica o sociale, spesso mischiate nello stesso brano. La tristezza che si respira nella voce di Morrisey sa trasformarsi in ironia tagliente e sottile appena ne ha l’occasione, e l’ha molto spesso. Dal primo album The Smiths vengono tratti anche i singoli What difference does it make?  e This Charming man  che diventano dei veri e propri classici del loro repertorio. Al primo album seguono, invece,  i singoli Whilliam it was really nothing e  la struggente Please, Please, Please Let Me Get What IWant.

Il 1985 è l’anno di Meat is Murder, il secondo album della band, è innanzitutto pro-

[caption id="attachment_441" align="alignright" width="188"]Johnny Marr Johnny Marr[/caption]

vagetariano e porta alla definizione di un pensiero politico molto più netto della band: è quasi tragicomico il testo di The headmaster ritual in cui Morrisey racconta di come nella scuola che frequentava non fosse lasciata alcuna apertura ai ragazzi per fantasticare sul futuro o lasciare la realtà operaia da cui provenivano. Per manifestare la sua insofferenza verso il sistema il futuro cantante, quando gli era stato chiesto di descrivere un libro che amava, aveva optato ironicamente per il dizionario, suscitando le ire del preside che lo aveva quasi espulso. Una realtà non semplice quella di Manchester, da cui anni dopo sboccerà un’altra realtà interessante: quella degli Oasis.

Pur non contenendo una hit al livello di This Charming man il loro secondo album li consacra a livello internazionale e fa da trampolino di lancio per il terzo: The Queen is dead. Fin dal titolo è chiara l’avversione per la monarchia inglese che accompagnerà l’intero disco. Gli Smiths riescono qui a mettere in fila un successo dietro l’altro in quanto a singoli tratti dal lavoro: Bigmouth Strikes Again, The Boy with the Thorn in his side e There is a light that never goes out riscuotono tutti un’ottimo successo di vendite e di critica. Anche Some girls are bigger than other, poi inclusa nel loro best of, è riconosciuta come un capolavoro della band così come l’intero disco è considerato come il loro migliore.

[caption id="attachment_443" align="alignleft" width="290"]Johnny Marr con il leader degli Oasis Noel Gallagher Johnny Marr con il leader degli Oasis Noel Gallagher[/caption]

Per Morrisey e Marr, tuttavia, il miglior lavoro degli Smiths è Strangeways, here we come, l’ultimo, pubblicato dalla band nel 1987. Pezzi come Girlfriend in a coma e Stop me if you think  you’ve heard this one before sono entrati nel cuore della gente senza che la band li reclamizzasse, poiché l’album è uscito nei negozi dopo che la band si era sciolta. Ah già…lo scioglimento. Nel 1987 in seguito a numerose tensioni interne alla band Marr esce dal gruppo e viene seguito a breve distanza da Morrisey e gli altri. Il best of diviso in due parti Best…I E Best…II (PREMI QUI E QUI PER ASCOLTARLI) è uscito nel 1992 e reassume le tappe principali della carrier della band.

I membri degli Smiths non si incontreranno più fino a quando l’ex batterista Joyce non intenterà una causa contro Morrisey e Marr accusandoli di non aver diviso con lui gli incassi della Band nel 1996: probabilmente la peggior reunion di sempre. Morrisey ha cominciato una fortunata carriera solista in cui spesso ripropone pezzi della Band e lo stesso ha fatto Marr, tuttavia l’alchimia che i due sprigionavano insieme non si è più rivista sulle scene. L’eredità degli Smiths è stata fondamentale per band quali gli Oasis e, per certi versi, i Killers.

Parafrasando una loro canzone, una cosa è certa:Smiths are not dead!