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venerdì 14 novembre 2014

Royal Blood! (7/10)

In questo periodo risulta facile parlare di rock. Il 2014 è stato un anno che, nel bene o nel male, ci ha portato parecchio materiale, come ad esempio l'ultimo progetto da solista di Jack White o il nuovo disco regalimgresato al mondo (al mondo apple) dagli U2. Ma l'attenzione del Freaky, per oggi, si sofferma su un nuovo duo rock che è riuscito in un annetto scarso ad imporsi a tutto il mondo dal punto di vista commerciale, raggiungendo i primi posti delle classifiche rock sia dell'oltremanica che dell'oltreoceano.
I Royal Blood nascono l'anno scorso a Worthing, paesino nel East-Sussex, a pochi km dalla famosa Brighton. La formazione è semplice, due ragazzi si sono incontrati ad inizio 2012, hanno cominciato a suonare insieme capendo che il loro gusto minimale avrebbe potuto evolversi e funzionare senza bisogno di ulteriori decorazioni. Così troviamo due soli elementi di melodia (la batteria di Ben Tatcher e l'astuto basso di Mike Kerr) accompagnati dal vocal sempre affidato a Kerr. I generi di cui i Royal Blood si occupano in questo primo album sono parecchi, creano un surrogato di alternative che varia da un garage che sà di post-grunge (in "Figure it out" o "Come on Over") all'indie a tinte blues (in Loose Change"" o "Blood Hands") senza mai abbandonare quella prepotenza melodica che, a turno, viene guidata dalla batteria, dal basso o (sporadicamente) dalla voce. Quei riff orecchiabili e trascinanti che sembrano usciti da chitarrone insanguinate sono in realtà prodotto di una trovata di Kerr che spiega :"Il suono è quello di un basso passato attraverso alcuni diversi amplificatori con alcuni pedali, è tutto. Non è mai una decisione fare le cose in questo modo, ma ha funzionato per noi." Ha funzionato eccome, perchè con questo semplice escamotage i Royal Blood prendono due piccioni con una fava, superando le difficoltà che possono emergere con l'assenza di una chitarra solista e creando una sonorità distintiva che li rende facilmente riconoscibili.
Così, dopo un anno passato nell'underground con disarmante senso degli affari a pubblicizzare da veterani i propri ep , l'album è pronto a essere giudicato, tra il fermento dei loro primi fan e le perplessità di quella critica che non vede mai di buon occhio chi riesce a "vendersi" tanto bene e tanto in fretta.imgres
La prima track sembra spazzare via qualche dubbio, "Out of the Black" è sicuramente una perla d'aria fresca, dove la batteria la fa da padrone, poi la progressione e gli apprezzabili stop'n go, accompagnati da un inquietante ed energico cantato, fanno il resto, rendendo la canzone di apertura (nonchè loro primo singolo pubblicato) la bandiera dei Royal Blood. Si prosegue con il piacevole riff di "Come on Over" (che sembra qualcosa di già sentito tra la fine dei 90 e l'inizio dei 2000) e la sapienza radiofonica di "Figure it Out" (splendido il videoclip) che cerca di rendere il più vendibile possibile lo stile Royal Blood abbellendolo comunque con un esplosivo assolo finale. La quarta traccia è la spassionata e leggera (rispetto al trand stoner che ha l'album) "You can Be So Cruel" seguita da un'altra perla come "Blood Hands", diversa dalle canzoni per cui abbiamo apprezzato per ora il duo di Brighton. Il pezzo forse più sperimentale è un conflitto tra la melodicia parte iniziale e finale e le tenaci urla di voce e batteria quando il ritmo esplode nel mezzo, ricreando un equilibrio degno dei più grandi. "Little monster" è qualcosa a cui ci eravamo decisamente preparati ascoltando l'inizio dell'album, ma forse non ci aspettavamo che arrivasse con tanta efficacia. Un riff dirompente, orecchiabile, trascinante (il migliore dell'album) e una voce portata al massimo dei decibel fanno di "Little monster" la canzone più facile da apprezzare. "Loose Change" sembra un omaggio agli White Stripes, oltre che per il riff e il ritmo bipolare anche per lo sforzo che Kerr relega alla sua ugola, nel tentativo di emulare il buon vecchio Jack. "Careless", invece, un omaggio a Queens of the stone age (le cui sonorità sono comunque sempre preseni in qualche modo nel disco), che crea comunque un alternative primitivo ma quasi romantico.
Per "Ten Tonne Skeleton" vale lo stesso discorso fatto per "Figure it out", pubblicato con sapienza radiofonica (è il primo loro singolo ad aver raggiunto i vertici delle classifiche europee), lo stoner rock del pezzo riesce a reggere per gran parte della canzone perdendosi lo stesso, inevitabilmente, in qualcosa che alla fine (o ad un secondo ascolto dipende) annoia. L'album si chiude con la bella "Better Strangers", quasi una "ballata" alla Royal Blood, energica ma romantica, ritmo cadenzato che rende affascinante anche questa traccia a un primo impatto distonica.
imgresArrivati in fondo le sensazoni sono buone, ma non eccezionali. Chiaramente il disco pecca di varietà e a tratti di originalità, lasciandoti in bocca un sapore di qualcosa che hai già assaggiato, forse tanto tempo fa, ma di cui non capisci bene l'obiettivo. I Royal Blood vanno oltre il puro e semplice hard rock pur offrire uno stile innovativo, cercando di sintetizzare nella ruvidezza del loro sound tutti i grandi momenti del rock alternativa (senza disprezzare espedienti pop di cui comunque sono appassionati), facendo anche musica che colpisce, ma che non entra mai nel profondo. Il grande merito, stando a oggi, che hanno i ragazzi di Brighton è proprio quello di aver dato risonanza commerciale ad un sound che era stato accantonato alla fine degli anni 90, rispolverandolo e rendendolo proprio. Che non siano un fuoco di paglia ne sono convinto, così come sono convinto che il loro futuro, comunque, non sarà nell'olimpo del rock. Il disco rimane più che positivo e noi auguriamo buona fortuna ai Royal Blood.

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