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lunedì 25 marzo 2013

Dookie! (9/10)

Ciò di cui si parlerà (o meglio si scriverà) oggi è musica. Per alcuni il tema trattato è l’origine di un mito, per altri ciò di cui mi appresto a raccontare  è il momento più alto di una storia poi finita in rovina a causa del successo mediatico, per me è semplicemente il motivo per cui la musica è entrata nella mia vita; comunque vogliate leggere il prossimo pezzo, oggi si parla dei Green Day e del loro terzo album “Dookie!”.

Siamo in California nel 1994, tre ragazzi senza un chiaro scopo nella vita giocano a fare i rocker, o meglio, i punk rocker. Abbiamo un cantante e chitarrista scatenato e con una particolare attitudine alla scrittura di testi e riff fatti di una miscela di accordi distorti e trascinanti: sono passati quasi vent’anni dalla prima esplosione del punk con gli “scandalosi” Sex Pistols in Inghilterra ma lui crede ancora in questo genere e l’ha ascoltato a tal punto da aver assorbito i messaggi lasciati da Clash e Ramones come fossero la Bibbia;si chiama Billie Joe Armstrong. Mike “Dirnt” è il bassista del terzetto, è amico di Armstrong dai tempi delle elementari ed è in grado di scrivere linee di basso magnetiche come presto farà vedere al mondo. Ultimo ma non ultimo Trè Cool, un vero e proprio clown che si diletta alla batteria e non disdegna qualche strimpellata alla chitarra;dietro a quest’aria da pazzo furioso si cela però a sospresa un musicista serio e con un passato al conservatorio. Il nome “Green Day” che i tre si sono dati è un richiamo ai giorni “verdi”, passati a fumare erba insieme:cos’altro si può cercare in una band?

I Green Day hanno alle spalle due dischi prodotti da una casa discografica locale e non hanno venduto che qualche migliaio di copie, in America questo vuol dire essere meno di nessuno ma sono stati miracolosamente notati da una major e ora hanno quindi la possibilità di farsi ascoltare da tutto il mondo. Non la sprecheranno.

Dookie parte  a 1000 e anche se è da qualche anno che non lo ascolto mi gasa ancora come la prima volta: Bournout (la prima traccia) è una vera bomba a orologeria di ritmo e testo  biascicato come solo nel punk vecchio stampo si era sentito prima. Le canzoni sono tutte degne di essere dei validi singoli e questo fa dell’album un gioiello unico nel suo genere: quando state valutando la qualità di un disco chiedetevi se potreste dire lo stesso, io lo trovo un ottimo metro di giudizio per l’insieme. I veri e propri singoli che girano nelle radio per promuovere il lavoro nel 1994 sono chiaramente di forte impatto, basti dire che il primo, “Longview”, oltre ad avere un incredibile giro di basso scritto da parte di Mike mentre era sbronzo, vanta una frase del genere al suo interno :

” my mother says to get a job but she don’t like the one she’s got; when masturbation’s lost its fun your fuking lazy!”

Non mi cimento nella traduzione per mantenere un finto limite di decenza ma credo sia già più che abbastanza per lasciar intendere quanto il tema del cazzeggio e della nullafacenza  facciano da padroni.

“Basket Case” è il pezzo più apprezzato dal pubblico e rimarrà la canzone più conosciuta della band fino all’album American Idiot del 2004 dove altri lo eguaglieranno. Nonostante la base punk sia sempre presente il pezzo nella sua melodia risulta addirittura ballabile (ovviamente scatenandosi) e trainato da un grottesco video ispirato da “Qualcuno volò sul nido del cuculo” vola al numero uno di tutte le charts. C’è anche spazio per l’amore in questo album decerebrato ma irresistibile con “she”, un pezzo romantico ma pur sempre a suon di distorsioni e batteria alla Trè Cool nel ritornello. Completano la lista dei singoli “Welcome to Paradise” e “When I come around” che ai concerti trascineranno il pubblico nel 2020 come lo fanno ora (sotto il link a un video della band che lo dimostra a Woodstock).

Il risultato? Un album da 15 milioni di copie vendute e un Grammy Award come miglior album Alternative, ma non è solo questo: parliamo di un lavoro che porta i Green Day a un livello musicale successivo rispetto a molte altre band e che essi hanno toccato di nuovo solamente con l’uscita di American Idiot, anche se a quel punto cominceranno a essere attaccati per le svolte stilistiche più “poppettare” e “main stream” per così dire.

Parliamo di un album che piace perché al suo interno c’è tutto, non manca proprio nulla nei testi come nella musica, nella ritmica come nel suo essere diretto:  direi che non è così male per un disco il cui titolo “Dookie” significa (cito testualmente) “merda”.

Green Day live a Woodstock 94, When I come around

 

[caption id="attachment_49" align="alignright" width="224"]La copertina di "Dookie" La copertina di "Dookie"[/caption]

 

 

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