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giovedì 9 ottobre 2014

Suicidio concesso ad un detenuto in Belgio: un dilemma etico che fa discutere

Fa discutere il consenso da parte del governo belga al suicidio di un detenuto




[caption id="attachment_682" align="alignright" width="184"]Frank Van Den Bleeken Frank Van Den Bleeken[/caption]

condannato all’ergastolo per stupro e omicidio. In Belgio, a differenza che in Italia, l’eutanasia  è perfettamente legale già dal 2003 in ambito medico ma anche in qualsiasi altra sua forma. Frank Van Den Bleeken, questo il nome del protagonista della vicenda, sta scontando la propria pena da oltre trent’anni  e già nel 2011 si è appellato a questa legge per farla finita a causa dell’insopportabile depressione di cui soffre. La giurisdizione locale, tuttavia,  prima di acconsentire all’iniezione letale ha sottoposto l’uomo a diverse terapie e tentativi di assistenza tutti senza successo.


A questo punto il detenuto è il primo a images“beneficiare”, se così si può dire, della norma, con tutti gli interrogativi che ciò porta con sé: è eticamente corretto permettere il suicidio ad un detenuto in perfetta salute fisica? Moralmente il dilemma appare sicuramente più semplice da risolvere quando si tratta di malati ridotti ad uno stato vegetativo. Se la detenzione ha qualche utilità, tra l’altro, è prima di tutto di impedire che il recluso commetta qualche altro crimine ma vorrebbe essere anche quella di aiutarne il reinserimento nella società. Considerando che in questo caso non c’era la possibilità di un reinserimento nella società (trattandosi di ergastolo) il secondo obiettivo viene meno:  dev’essere proprio questo il criterio che ha guidato le autorità belghe.


Detto ciò una notizia del genere fa venire in mente infiniti episodi storici con cui fare un paragone: da Socrate, che però fu costretto a suicidarsi, ai Samurai




[caption id="attachment_680" align="alignright" width="300"]La morte di Socrate dipinta da Jacques Louis David La morte di Socrate dipinta da Jacques Louis David[/caption]

che preferivano fare harakiri piuttosto che cadere nelle mani del nemico, salvaguardando così il proprio onore. Una cosa è certa: da un punto di vista filosofico Seneca giudicherebbe quantomeno legittimo il suicidio del detenuto poiché la vita non deve essere vissuta per forza fino in fondo se particolari circostanze non la rendono più degna. Sociologicamente Durkheim lo definirebbe, invece,  un suicidio egoistico, ossia dettato dall’attaccamento fortissimo dell’individuo  verso sé stesso abbinato a un legame assai debole con la società nel suo insieme. Proprio questi legami contraddittori fanno si che l’individuo preferisca sottrarsi alla società privilegiando così la propria volontà.

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